Martedì, 23 aprile 2024
Il portale: ricerca
Home 
Home | I 150 anni dalla spedizione dei mille | Sicilia 150 | Un mosaico di attori | Biografie | Medici

GIACOMO MEDICI (Milano, il 15 gennaio 1817 - Roma, 9 marzo del 1882)

Lit. Fratelli Terzaghi MI in Album storico-artistico.Garibaldi nelle due Sicilie

Per le sue idee politiche antiaustriache nel 1836 fu costretto ad andare in esilio in Portogallo. Qui combatté da volontario nella legione Cacciatori di Oporto contro i carlisti. Nel 1840 si trasferì a Londra dove conobbe Giuseppe Mazzini e aderì alla Giovine Italia. L'eco dei moti rivoluzionari lo portò nel 1846 in Uruguay dove, a Montevideo, conobbe Giuseppe Garibaldi. Quando giunsero loro le notizie delle riforme intraprese in Italia da Pio IX e da Carlo Alberto, Medici e Garibaldi ritornarono a Genova nel giugno del 1848 a bordo di una nave che era stata ribattezzata con il nome di Speranza. Medici suggerì a Garibaldi di recarsi a Milano, per offrire i suoi servigi al Governo provvisorio di Lombardia, che di fatto rimpiazzava l'amministrazione austriaca. I due giunsero a Milano il 14 luglio e nei giorni seguenti organizzarono, nella caserma di San Francesco, il Battaglione Anzani (dal nome del colonnello Francesco Anzani, già comandante in seconda della Legione Italiana di Montevideo, morto di malattia alcuni giorni prima a Genova) composto di volontari, al comando dello stesso Medici. Il battaglione, composto da circa trecento lombardi, studenti o cadetti di famiglie nobili e benestanti, partecipò alla campagna dei volontari in Lombardia, e l'anno seguente si distinse nella difesa della Repubblica romana sul Gianicolo. Il governo dello Repubblica Romana gli assegnò la medaglia d'oro al valore militare: un onore condiviso con Garibaldi, Luciano Manara (per la difesa di Villa Spada) e Giacinto Bruzzesi (per la difesa dei Monti Parioli). Nel 1859 Medici venne promosso al grado di tenente colonnello e prese parte alla II guerra di indipendenza in qualità di comandante del 2º reggimento Cacciatori delle Alpi. Si distinse nella battaglia di Varese, partecipò alla battaglia di San Fermo e guidò l'avanguardia nelle operazioni di Valtellina alla liberazione di Bormio. Il 4 maggio 1860 fu Medici a stipulare a Torino, alla presenza del notaio Gioachino Vincenzo Baldioli, il contratto con il quale Raffaele Rubattino cedeva i due vapori Piemonte e Lombardo, coi quali venne compiuta la spedizione dei Mille. Il 9 giugno partì da Genova per la Sicilia a capo di una seconda spedizione di rinforzo a quella di Garibaldi, con 930 volontari. Intercettato la sera del 10 dalla fregata borbonica Fulminante, fu rimorchiato a Gaeta, dove arrivò il giorno successivo. Il 14 luglio, il Medici e circa 2000 volontari si reimbarcarono a Cornigliano per la Sicilia su navi battenti bandiera statunitense e arrivarono il 17 a Castellammare del Golfo. Medici fu uno dei principali capi militari della spedizione garibaldina insieme a Nino Bixio, a Giuseppe Sirtori e a Enrico Cosenz. Combatté al fianco di Garibaldi nella battaglia di Milazzo, costrinse Messina alla resa dopo un assedio di otto giorni, e fu presente alla battaglia del Volturno. Entrato nell'esercito regolare col grado di generale di divisione, fu nominato comandante militare della piazza di Palermo, dove, nel 1862, cercò di facilitare il tentativo di Garibaldi di organizzare una nuova spedizione per liberare Roma. Medici in questa occasione presentò una supplica al Re e a Urbano Rattazzi affinché non fermassero i volontari, cosa che invece si verificò sull'Aspromonte. Tra il 1865 e il 1866 affiancò il prefetto di Palermo Filippo Gualterio in una dura campagna di repressione contro la renitenza alla leva, il banditismo e le insurrezioni filo-borboniche. Nel 1866 partecipò alla guerra contro l'Austria distinguendosi nelle battaglie di Primolano, Borgo e Levico e giunse quasi alle porte di Trento meritando la medaglia d'oro al valor militare e la nomina a Grande Ufficiale dell'Ordine Militare d'Italia. Nel 1868, in seguito alla dura repressione operata dal generale Cadorna della rivolta di Palermo del 1866 (passata alla storia come la rivolta del Sette e mezzo), ritornò in città come prefetto, dotato di poteri insolitamente ampi e, soprattutto, della piena fiducia del Re. Vi restò sino al 1873. Egli venne accusato dal deputato della Sinistra Diego Tajani, già procuratore del Re a Palermo alla fine degli anni '60, di aver autorizzato il questore Albanese a stipulare accordi con la mafia, per garantire il mantenimento dell'ordine pubblico. Da prefetto, Medici adottò provvedimenti repressivi nei confronti di giornali clericali come la «Sicilia Cattolica», l'«Ape Iblea», «La Regione», ritenendo in quel momento indispensabile mantenere l'autorità e la forza del governo, arrestare la "marea reazionaria" (come scrisse lo stesso Medici al ministro dell'Interno Ferrari) e impedire un ripetersi di fatti simili a quelli del '66. La repressione era, a suo parere, giustificata dal timore fondato che nel caso in cui «la mano del governo venisse rallentata, quando le forze della guarnigione, già purtroppo esigue e sproporzionate all'importanza di Palermo, venissero a scemare ancora per esterne complicazioni, la reazione non esiterebbe un momento a ritentare le prove dei passati disordini». In realtà la prefettura di Medici si distinse anche per il grande interessamento del generale alla costruzione di infrastrutture (strade, porti, ponti e, soprattutto, ferrovie) nell'isola. Nel 1872 poté tracciare un quadro positivo delle realizzazioni infrastrutturali degli ultimi tre anni, anche grazie alla fattiva collaborazione dell'allora ministro dei Lavori Pubblici Antonio Mordini e del direttore generale del ministero Giuseppe Cadolini. A Palermo Medici conobbe e sposò la nobile inglese Lady Ingham, vedova del primo marito Lord Ingham-Whitaker. Deputato negli anni 1860-65 e 1867-70, Medici fu nominato senatore nel 1870. A riconoscimento del suo valore, nel 1876, Vittorio Emanuele II gli conferì il titolo di marchese del Vascello e di Primo Aiutante di Campo del Re. Morì a Roma il 9 marzo del 1882.

G.P.

Principale bibliografia di riferimento:

- AA. VV., La Sicilia e l'Unità d'Italia, Atti del Congresso Internazionale di Studi Storici sul Risorgimento italiano (Palermo 15-20 aprile 1961), Milano, Feltrinelli, 1962;
- Alatri P., Lotte politiche in Sicilia sotto il governo della Destra (1866-1874), Torino, Einaudi, 1953;
- Poidomani G., Senza la Sicilia l'Italia non è nazione. La Destra storica e la costruzione dello Stato (1861-1876), Bonanno editore, Acireale-Roma, 2008;
- Renda F., Storia della Sicilia, vol. III, Dall'Unità ai giorni nostri, Palermo, Sellerio, 2003;
- Riall L., La Sicilia e l'unificazione italiana. Politica liberale e potere locale (1815-1866), Torino, Einaudi, 2004;
- Scirocco A., Il Mezzogiorno nell'Italia unita (1861-1865), Napoli, SEN, 1979.