Martedì, 23 aprile 2024
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Il misterioso omicidio di Anita ed il tesoro di Garibaldi

È una morte in sordina, quella di Anita, come del resto in sordina era stata la sua esistenza, vissuta tutta all'ombra del suo Giuseppe. Il cadavere viene adagiato su un carretto, con abiti presi in prestito dalla famiglia di fattori, i Ravaglia, che le hanno concesso ospitalità negli ultimi istanti. Garibaldi non vorrebbe separarsi da lei, ma non dimentica che è un ricercato: deve riprendere la sua fuga. Prima di andare, prende con sé il soprabito della moglie, i sandali, un fazzoletto ed un anello, poi li offre ai proprietari della fattoria, in segno di gratitudine. Quelli, però, rifiutano il bottino: ritengono più giusto che sia Giuseppe a serbarlo, come ricordo della compagna. Non c'è più tempo da perdere, gli austriaci sono ormai a un tiro di schioppo dal paese. L'eroe si avvia, in fretta, dopo aver raccomandato un'onorevole sepoltura, per garantire ad Anita il riposo che merita. Non può immaginare che il peggio debba ancora arrivare...
Quello della seppellimento, infatti, si presenta da subito come un problema spinoso. Garibaldi ha chiesto che il suo corpo sia imbalsamato, e onorato con un lungo cerimoniale, ma le sue pretese sono irrealizzabili: la donna è una straniera, non possiede documenti, e per di più si tratta di una fuggiasca. Per non destare l'attenzione degli abitanti del luogo, Stefano Ravaglia e suo fratello - che non erano in casa al momento della morte di Anita, ma si sono appassionati in fretta alla triste vicenda della donna - avvolgono il cadavere in un telo, poi lo depongono in una fossa, scavata alla meglio in un terreno incolto poco distante dalla fattoria. Passa qualche giorno, poi una mattina, mentre gironzola fra i campi per occupare il tempo, una bambina, Pasqua Dal Pozzo, si accorge di un braccio che fa capolino dalla terra, rosicchiato qua e là dagli animali. È il braccio di Anita.
Gridando di terrore, la piccola corre dal padre, che si reca subito dalla polizia. Il cadavere viene disseppellito e sezionato da un medico legale. Intanto, una lettera anonima tempestivamente recapitata al commissario pontificio Bedini, consente il riconoscimento: si tratta della donna che accompagnava Garibaldi, che aveva trovato ricovero nella fattoria dei Ravaglia insieme al compagno e a qualche altro "esaltato" che faceva loro da scorta. La lettera si spinge ancora oltre, fino a suggerire che dietro la misteriosa morte della donna ci sia la volontà dei Ravaglia di impossessarsi del favoloso tesoro che i coniugi Garibaldi si portavano appresso.
Mentre don Bruzzati, il parroco del paese, accetta di accogliere i suoi miseri resti nel piccolo cimitero locale, si attende con impazienza il referto dell'autopsia.
Alla consegna, il colpo di scena, che conferma le fosche tinte ipotizzate dal memoriale anonimo: si tratta di strangolamento! Come non bastasse, la donna ha in grembo un feto di almeno sei mesi.
I Ravaglia vengono subito incarcerati, con l'accusa di «correità o complicità nel supposto omicidio della incognita donna del ben noto Garibaldi», nonché di ospitalità offerta ad un ricercato. Vengono liberati in capo a qualche settimana, potendo dimostrare che il giorno della morte di Anita non erano in paese, ma i guai non sono ancora finiti?
Il paese è in fermento per via del tesoro: tutti sono convinti che il generale abbia abbandonato il bottino al momento della fuga, e così si danno da fare per scovarlo. L'affaire Anita sembra proprio non poter essere archiviato: il commissario Bedini prova a calmare le acque, ma riceve l'immediato richiamo del ministro degli Interni, Savelli, che lo accusa di voler insabbiare il caso per coprire il filibustiere. Ripartono quindi nuove indagini, e con esse un rosario infinito di colpe ed accuse, che lambiscono persino Garibaldi, da qualcuno indicato come uxoricida.
Intanto, la leggenda del tesoro si diffonde di paese in paese, e arriva alle orecchie di un brigante dei paraggi, Stefano Pelloni, il temibile "Passator cortese". L'uomo si presenta così alla fattoria Ravaglia, la mette a soqquadro, percuote e minaccia i due fattori per farsi rivelare il nascondiglio. È necessario versargli 1.434 scellini per farlo andare via.
L'eco di quella storia, tuttavia, non accenna a passare.
Dieci anni dopo, tornando a visitare la zone, Garibaldi si sente apostrofare da un anziano signore: "Voi avete perso molto qui, eh?".
"Non avevo denaro" gli risponde secco, intuendo a cosa si riferisca.
È proprio in quella occasione che il generale sceglie però di assegnare una pensione per "meriti patriottici" a Stefano Ravaglia. È la conferma che tutti aspettavano: era stato proprio lui a custodire il tesoro!

A.F.