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Mundy un osservatore straniero

Lo sguardo di uno straniero


Da La fine delle Due Sicilie e la marina Britannica. Diario di un ammiraglio 1859-1861, di R. Mundy, trad. Antonio Rosada, Berisio, Napoli.


«Alle 3 del pomeriggio ricominciò da terra e dal mare il bombardamento della sfortunata città. La mia cabina s'era frattanto riempita di mogli e figlie di mercanti, le quali avevano sperato di trascorrere il resto della sera domenicale riposando tranquillamente invece di dover essere spettatrici di una delle più tremende scene di distruzione originate dalle civili discordie che la storia contemporanea abbia registrato. La cittadella cominciò il cannoneggiamento lanciando granate in direzione della Piazza del Pretorio, che ben si sapeva essere il quartier generale del terribile dittatore, mentre tirava palle piene di grosso calibro sulle chiese e gli edifici pubblici e privati nei più immediati dintorni. Il piroscafi da guerra, costruiti in Inghilterra solo pochi anni prima ed armati con pezzi da 68 libre del pesi di 95 quintali inglesi [1 Cwt= Kg. 50,8, NdT], aprirono il fuoco subito dopo, e le loro evoluzioni erano dirette con notevole perizia. Il comandante Flores, dell'Ercole, che aveva pranzato con me in occasione del genetliaco della Regina, superava tutti i suoi colleghi per lo zelo con cui conduceva l'azione e per il modo con cui governava la sua nave; ma si può ben dubitare che il suo equipaggio avrebbe mostrato uguale alacrità se avesse incontrato opposizione. Girando in cerchio entro poche yarde di distanza dalla boma della Hannibal, egli portava alternativamente in punteria su via Toledo le batterie di dritta e di sinistra, e spazzava col suo pesante metallo l'intera estensione di quella magnifica strada che va dalla marina a piazza del Palazzo Reale con un rettilineo lungo quasi un miglio, non appena il piroscafo scadeva fuori portata di tiro egli si avvicinava nuovamente fino a mezza gomena di distanza dalla riva, e così di seguito ricominciava il circuito di poppa alla Hannibal, tempestando di fuoco i suoi compatrioti, finché l'oscurità non pose termine a questo spietato procedimento.
[...].
Il tenente Wilmot così descrive i danni riportati dalla città per quel che poté vedere in via Toledo e nelle strade che portano alla casa di Mr. Ingham, alla quale si era recato secondo il mio desiderio: con molta difficoltà riuscii a trovare la casa di Mr. Ingham, che è situata nella periferia occidentale della città, vicino al Giardino Inglese. I danni arrecati a questo quartiere sono assai gravi, specialmente nelle vicinanze del quartier generale di Garibaldi; ma è un fatto singolare che il grande Palazzo del Pretorio che l'ospita non abbia ricevuto un solo proiettile; invece la chiesa, il convento e alcuni edifici pubblici che formano gli altri tre lati della piazza erano crivellati di colpi. Il convento era in fiamme ed era stato completamente distrutto. Cadevano ancora granate, e diverse volte dovetti ripararmi nei portoni per attenderne lo scoppio. Era anche assai poco piacevole dover attraversare Toledo e le strade che fronteggiano Palazzo Reale e la zecca, poiché erano continuamente battute della fucileria e dai tiri dell'artiglieria da campagna dei regi.
Nei pressi della casa di Mr. Ingham si era certo combattuto duramente, poiché vidi molti cadaveri di soldati e carogne di cavalli dell'artiglieria, che giacevano ancora dove erano caduti.
La gente sembrava felice di vedere un ufficiale britannico girare per le strade e si assiepava sui balconi battendo le mani al mio passaggio. Imploravano ad alta voce di sapere se l'ammiraglio inglese avrebbe fatto cessare il bombardamento. Fui molto sorpreso nel constatare l'inefficienza delle barricate. Nessuna di quelle che vidi ieri e l'altro ieri avrebbe potuto arrestare per un sol momento l'assalto di qualsiasi deciso reparto di truppe. In alcuni luoghi non era stato neanche disfatto il selciato e si erano solamente accatastati mobili presi nelle case. In altri, specialmente di fronte alla regia zecca, omnibus, carrozze e travi costituivano l'unica difesa. Questi non offrivano alcuna protezione contro le palle di fucile, e siccome i soldati tiravano a casaccio, sperando di colpire la gente mentre passava, non era affatto piacevole dover attraversare le strade.
[...].
2 giugno - Questa mattina sbarcai in abito civile, conducendo con me il mio aiutante di bandiera come scorta Viste dalla riva, le devastazioni si notavano appena, giacché la maggiorparte dei proiettili erano stati lanciati al di là degli edifici che si affacciano sulla Marina. Ma l'interno della bella metropoli insulare presentava uno spettacolo che trafiggeva il cuore. Un intero quartiere adiacente al Palazzo Reale [il povererissimo quartiere dell'Albergheria, nota del testo], lungo circa mille yarde [Km. 1,09] e largo cento [m. 109], era ridotto a una massa di rovine ancora fumanti. Famiglie intere erano state bruciate vive all'interno delle case, e le atrocità commesse da taluni miscredenti tra i regi, durante la loro ritirata dai conventi dei Benedettini e dell'Annunziata erani paurose. A Toledo e in altre strade vicine, conventi, chiese e palazzi della nobiltà, erano stati demoliti dalle granate, delle quali millecento erano state sparate dalla cittadella e duecento dalle navi da guerra, prima che mi fosse riuscito di far cessare il fuoco. Palle piene, mitraglia e granate a pallette, in pari proporzione, erano state lanciate in tutte le direzioni in cui potevano venire puntati i pezzi pesanti, ma il loro effetto sui massicci edifici era stato pressoché nullo, comparato alla potenza distruttiva delle granate da dieci e tredici pollici.
Mr. Herzell, l'agente consolare svizzero, mi consegnò un rapporto scritto sulle sofferenze dei suoi compatrioti. L'ultimo giorno del bombardamento egli aveva visitato personalmente i conventi in fiamme e s'era trattenuto ad osservare le devastazioni finché il puzzo pestilenziale dei cadaveri insepolti non l'aveva scacciato dalla scena di quegli orrori».
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