Venerdì, 29 marzo 2024
Il portale: ricerca
Home 
Home | I 150 anni dalla spedizione dei mille | Sicilia 150 | Mille teatri

Il 1860 nella rappresentazione scenica

Il 1860 nella rappresentazione scenica

Nei giorni in cui si realizzava, la spedizione dei Mille divenne fonte di ispirazione per numerose opere teatrali, che non riuscirono - se non modestamente - a ripercorrere l'epopea garibaldina. A questa categoria appartengono numerosi lavori di genere diverso: il dramma popolare La presa di Palermo (1860) di Giuseppe Coglitore, la commedia patriottica in un atto in versi martelliani di Teobaldo Ciconi I Garibaldini  (1860) , e infine la celebrazione dell'entrata di Garibaldi a Napoli con Il Diavolo Rosso (1860) di Andrea Codebò, che la scrisse proprio mentre il Generale si trovava nella città partenopea. La commedia venne rappresentata nel 1861 a Torino nel teatro diurno intitolato a Balbo ed era diretta ad un pubblico popolare e, per coinvolgerlo, utilizzava diversi canali: la prosa, la musica, il ballo e le luci di bengala. L'entrata di Cavour, morto da poco, interpretata da un generico che indossava un lenzuolo e una corona di alloro e indicata da uno spettatore come un momento commuovente, ci fa ora sorridere per la sua ingenuità, anche se fu sicuramente efficace nel suscitare emozioni e appassionare. Non mancavano poi canovacci e scenari per i burattini come Lo sbarco dei Garibaldini in Sicilia  e Garibaldi a Palermo o Gli Animali Parlanti di Luigi Forti (scritto nel 1860, edito nel 1862) che con un testo allegorico e una satira si scagliava contro l'appena passato regime borbonico.
I garibaldini furono anche i protagonisti di commedie satiriche, come quella scritta dal veneziano Paulo Fambri, giornalista liberale e volontario, intitolata Il Caporale della Settimana che riscosse successo ed ebbe una buona fama. Come evidenza Doglio, oggi sembra solo una parodia delle rigide regole militari a cui è sottoposto un volontario di buona famiglia, abituato alle comodità della vita. La commedia fu oggetto di un vivace dibattito, perché rappresentava bene il contrasto tra le gerarchie e le truppe  militari dell'esercito regolare e quelle "irregolari" dei volontari. Degna di nota è la commedia, anch'essa satirica, Memorie alla casalinga d'un garibaldino (Livorno 1866), di Eugenio Cecchi, che riprende la polemica tra truppe regolari e "irregolari" e con ironia descrive il rapporto tra un colonnello sin troppo  ligio alle regole e un capitano beone.
Di tutt'altra impostazione erano le rappresentazioni che si davano a Palermo. Dopo l'evacuazione delle truppe borboniche, si intraprese la strada della normalizzazione e anche la vita mondana riprese. Così, il Teatro S. Ferdinando fu riaperto il 13 giugno con una serata di gala, nella quale venne messa in scena una commedia seguita da un ballo intitolato "Risorgimento". Nella città, il risentimento verso i Borboni era sicuramente cresciuto al ritmo dell'esplosione delle palle di cannone che dal Castellammare e dalle navi borboniche si scagliavano su case, palazzi, conventi e strade. La scoperta, poi, nelle celle del carcere, degli strumenti di tortura, aveva esaltato gli animi, perché rendeva visibile al popolo quello che fino ad allora si era solo vociferato e che dal  "sentito dire" diveniva cruda realtà. Dalle mosse di questo sentimento popolare contro la polizia borbonica e in particolare contro il suo direttore fu rappresentato al Teatro Nazionale S. Ferdinando il dramma anonimo Salvatore Maniscalco, dal nome del funzionario che fu pubblicato anonimo. Scrive Raffaele De Cesare: «È inutile dire che quella rappresentazione era tutta una sfuriata contro l'ex direttore di polizia, la cui persona, al comparire sulla scena, era salutata da un uragano di fischi e da un coro selvaggio di imprecazioni». La celebrazione della spedizione dei Mille e di Garibaldi fu impedita, però, sin dal novembre dello stesso anno, per ordine del sovrintendente dei teatri, il marchese di Rudinì. Le ragioni di questa scelta le possiamo solo ipotizzare: l'esigenza di normalizzazione contrastava con l'essenza rivoluzionaria e lo spirito di mobilitazione che l'impresa rappresentava. Non dobbiamo dimenticare che la figura di Garibaldi stava diventando troppo ingombrante rischiando di oscurare quella del Re Vittorio Emanuele II.
Nei giorni in cui veniva rappresentato Salvatore Maniscalco, il giornale La Libertà pubblicava nel suo secondo numero del 1 luglio un'altra commedia, Concorso di due carcerieri all'ufficio di carceriere maggiore delle prigioni di Palermo, che aveva come protagonista lo stesso funzionario borbonico e che lo raffigurava in tutta la sua crudeltà e potenza. Come ben esprime il titolo, il procuratore generale doveva scegliere tra due carcerieri che sembravano entrambi degni della promozione. Maniscalco risolverà la questione chiedendo loro ipoteticamente come trattare un uomo sospettato di delitti politici. Il primo candidato proporrà un trattamento più brutale, mentre il secondo indicherà delle torture più sofisticate e atroci e per questo verrà scelto, sulla motivazione di Salvatore Maniscalco: «Fuori violenze, fuori violenze; la civiltà del secondo vuol dire castighi umani».
Questa carrellata ci permette di riflettere e di rendere l'idea di quella funzione civile che ebbe il teatro durante l'Ottocento, e in particolare nel periodo immediatamente successivo la spedizione. Scrive Apollonio, nella Storia del Teatro Italiano: «Gli autori del nuovo tempo tengon d'occhio una realtà ancora di fresco uscita dalla storia, lo stato-nazione d'Italia e s'affrettano ad educarlo». Egli riconosce così una funzione civile al teatro patriottico che fiorisce sul terreno degli eventi di cronaca politica che condurranno alla nascita del Regno d'Italia. Ma le opere descritte appartengono anche al teatro di cronaca, filone che, nato nel Settecento, prende spunto da fatti clamorosi e che permette la loro diffusione in un periodo in cui una minima parte della popolazione era in grado di leggere. 

C.S.

Principale bibliografia di riferimento:

- Doglio F. ( a cura di), Teatro e Risorgimento, Cappelli, Bologna 1961;
- Montemagno G., Scena in rivolta, Flaccovio , Palermo 1980;
- Petroni P., Andrea Codebò, in Dizionario biografico degli italiani, Roma 1982.