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Anita

Un rivoluzionario di professione si abitua in fretta ai sacrifici...
Le fughe, i pericoli, i periodi di latitanza e quelli di ristrettezze diventano quasi routine, forse anzi accrescono il fascino della missione che si è chiamati a compiere. Molto più difficile è venire a patti con la solitudine, col senso di vuoto che toglie il respiro, certe sere, quando alle incertezze del futuro si aggiunge l'opacità del presente. Così, quello che arriva a Laguna, nel 1839, è un Garibaldi insoddisfatto, malinconico, in cerca di affetti. Stancamente, scruta la città con un cannocchiale, dal cassero dell'Itaparica. Un'occhiata distratta al porto, una alle case sul lungomare, poi la lente inquadra una giovane, affacciata a un balcone, e la giornata riprende colore. Giuseppe, in fretta, scende dalla nave in cerca di lei. Non riesce a trovarla, e intanto un amico lo invita a prendere un caffè. Accetta, s'incammina con lui, e in pochi passi sono a casa: è lì che ritrova la sua donna. Anita.
«Restammo entrambi estatici e silenziosi, guardandoci reciprocamente come due persone che non si vedono per la prima volta, e che cercano nei lineamenti l'una dell'altra qualche cosa che agevoli una reminiscenza».
Giuseppe esclama in portoghese: «Tu devi essere mia!». E lei, che senza saperlo lo attende da tutta una vita, lo segue. Abbandona il marito, i familiari e gli amici, e da quel momento vita privata e vita militare s'intrecciano in un'esistenza fatta di pericoli e passione. È una donna forte, Anita, che scorta il suo amore ovunque la sua missione lo conduca. Prende parte attiva ai combattimenti; nella difesa di Laguna arringa le truppe con piglio severo e spirito da combattente. Durante la battaglia di Forquillas perde i contatti con la colonna in ritirata, poi è catturata dalle truppe imperiali. Alla notizia che il suo Josè è stato ucciso, riesce ad ottenere il permesso di andare a cercarlo. Non lo trova, ma capisce che è vivo. Prontamente, ruba un cavallo e fugge.

Tratto da Vita illustrata di Garibaldi, di A. Balbiani, Milano 1860
Tratto da Vita illustrata di Garibaldi, di A. Balbiani, Milano 1860

Dopo quattro giorni di marcia si ricongiunge ai suoi, e può finalmente riabbracciare Garibaldi. La gioia è enorme, l'avventura può ripartire.
Il 16 settembre 1840 nasce Domenico, che sarà sempre chiamato Menotti nel ricordo del martire del 1831. Anita, ricercata, ad appena dodici giorni dal parto è costretta a scappare, col bambino in groppa al suo cavallo: raggiunge con difficoltà San Gabriel, dove Garibaldi costruisce una capanna che per mesi sarà la loro casa. Quella vita è troppo misera, però, e la famiglia si sposta a Montevideo. In una piccola chiesetta della capitale i due amanti regolarizzano il loro amore: Giuseppe sente il dovere di proteggere la donna che per lui s'è inventata un'altra vita. Gli anni uruguayani sono molto intensi: dopo Menotti, nel 1843 nasce Rosita, due anni dopo Teresita e infine Ricciotti, nella primavera del 1847. Anita è un'ottima madre, anche se soffre perché non può più seguire il marito nelle sue battaglie. Vive una vita appartata, tormentata dalla gelosia e dal timore di perdere il suo amato. A gennaio del 1848 s'imbarca per Nizza, insieme ai figli: precede Giuseppe, che ha ormai deciso di ritornare in Italia. È lei ad accoglierlo, qualche mese più tardi: raggiante, non attende nemmeno che il generale tocchi terra, e gli va incontro su una barchetta. Da qual momento, ne è certa, non si separeranno più. Alla fine di ottobre, quando il generale s'imbarca alla volta della Sicilia, Anita lo scorta, affidando i figli ad una famiglia di amici. È ancora con lui nel 1849, durante l'ultimo, disperato tentativo di difesa della Repubblica Romana: lo raggiunge proprio nel pieno dei bombardamenti francesi, poi viaggia insieme a lui. Durante la ritirata, viene colta da un febbre fortissima, così che a San Marino Giuseppe è costretto a chiedere ospitalità ad un oste. Dopo qualche giorno, la febbre è ancora altissima, ma Garibaldi scalpita per riprendere la fuga e sottrarsi alla cattura. Pur di non lasciare il marito, Anita riprende la marcia: lasciano la piccola repubblica di notte, con circa 200 uomini. Le condizioni della ragazza, tuttavia, peggiorano inesorabilmente: in una delle soste, a Musano, è necessario implorare un prete di farla riposare per qualche ora dentro la Chiesa, assieme a Giuseppe. Il curato acconsente, ma alla loro partenza fa riconsacrare la parrocchia, credendo che quei "nemici del papato" l'abbiano contaminata. La fuga dei garibaldini, intanto, riprende. A Punta di Goro un brigantino austriaco sta per raggiungere la truppa, così è necessario nascondersi in un bosco e attraversare a guado un fiume gelato. Anita è preda delle convulsioni, ormai, così Garibaldi e tre dei suoi compagni più fidati la portano in braccio, cercando alla meglio di ripararla dall'acqua fredda. Nei pressi di Ravenna è necessario fermarsi ancora, e chiedere ospitalità presso una fattoria. La donna viene adagiata su un letto di paglia, in attesa dell'arrivo di un medico. Troppo tardi. Dopo averle terso la fronte con una pezza umida, Giuseppe si accorge che è spirata: «Le presi il polso? più non batteva! Avevo davanti a me la madre dei miei figli, ch'io tanto amavo! Cadavere!».

- Il misterioso omicidio di Anita ed il tesoro di Garibaldi

A.F.