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Illuminazioni sul Clorinda

Nel 1832, quando salpa da Nizza sul Clorinda, Garibaldi ha 25 anni, l'aspetto un po' folle dell'artista di strada e un'enorme voglia di libertà. Dedica il suo tempo alla lettura, ama la musica e non si interessa di politica. Intuisce sicuramente l'esistenza di un mondo più complesso di quello in cui si muove, ed è come in cerca di un ideale a cui votare l'esistenza, ma solo il mare è la sua priorità, insieme alla nave su cui viaggia in quel momento. Ancora non sa che, di lì a poco, la sua vita salperà per nuove rotte.
Il primo indizio della svolta è la notizia della morte di Ciro Menotti, il giovane democratico condannato alla pena capitale dal duca di Modena per aver organizzato una sollevazione popolare nei suoi territori (clicca qui per leggere l'opera di Celestino Bianchi Ciro Menotti o le cospirazioni di Modena nel 1831, Milano 1866). Giuseppe non conosce, se non di sfuggita, le teorie dei patrioti italiani e le loro rivendicazioni, e tuttavia quella notizia lo turba più del dovuto, lo porta ad intravedere l'esistenza di un problema politico dal quale non si sente del tutto estraneo. Anni dopo, deciderà di chiamare Menotti il suo primo figlio.
Il nuovo segnale arriva poco dopo, all'inizio del 1833. A marzo, infatti, si imbarcano sul Clorinda 33 passeggeri francesi diretti a Costantinopoli. Sono esuli, cacciati dalla patria a causa delle loro idee politiche sansimoniane, che ne fanno dei potenziali sovvertitori dell'ordine borghese, della proprietà privata e fautori del libero amore.
Durante il viaggio, Giuseppe viene a conoscenza delle teorie di quei profughi, e si innamora del pensiero per cui «l'uomo, il quale, facendosi cosmopolita, adotta l'umanità per patria e va ad offrire la spada e il sangue ad ogni popolo che lotta contro la tirannia è più di un soldato: è un eroe». Quella prospettiva lo avvince, diviene immediatamente il fulcro attorno a cui far ruotare le sue azioni. Si è svelato a un tratto il significato della sua vita, la missione del combattente che impugna le armi per la libertà dei popoli, di tutti i popoli del mondo. Anche dopo lo sbarco degli esuli, Giuseppe continua il suo viaggio riflettendo sulle enormi possibilità che quella rivelazione porta con sé: combattere in difesa degli oppressi significa infatti sposare la sua nuova sete di giustizia all'antico e mai sopito amore per il viaggio e la libertà. Quando scende a terra per una breve sosta, il suo animo è in subbuglio, risoluto alla svolta ma ancora in cerca di una direzione concreta. Una bettola accanto al porto, abituale ritrovo per gente di mare, ha in serbo le risposte che cerca. A un tavolo si discute di politica. Un giovane parla di Mazzini, della Giovine Italia, di repubblica, indipendenza e libertà della nazione: gli amici lo definiscono il credente, per la forza con cui professa e rivendica le sue idee. Giuseppe lo ascolta incantato, poi corre verso di lui, lo abbraccia, gli chiede di conoscere fin nei dettagli la dottrina mazziniana. Gli è chiaro, infatti, che la lotta per l'indipendenza e l'unità d'Italia è il momento iniziale della redenzione di tutti i popoli oppressi. «Certo non provò Colombo tanta soddisfazione nella scoperta dell'America, come ne provai io al ritrovare chi s'occupasse della redenzione patria», scriverà più tardi nelle sue "Memorie". Il viaggio sul Clorinda ha stravolto la sua vita, ed essere un marinaio non gli basta più: inizia l'epopea garibaldina?

A.F.