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VITTORIO EMANUELE II, (Torino 1820 - Roma 1878)

VITTORIO EMANUELE II, (Torino 1820 - Roma 1878)

Secondo una tradizione storiografica, la spedizione dei Mille fu il prodotto di una parte autonoma della sinistra militare malgrado le ostilità del governo sabaudo. In realtà, se analizziamo le fonti del Carteggio di Cavour emerge una situazione ben diversa: lo stesso re si lasciò degli spazi di manovra autonomi servendosi di propri emissari consolari espressione di una propria politica estera o mettendosi in contatto tramite uomini fidati con il generale. Nell'inverno del 1859-1860, sull'onda della politica diplomatica vincente di Cavour seguivano delle iniziative del movimento nazionale per mobilitarsi in prospettiva di nuovi eventi bellici come la campagna promossa dai circoli garibaldini per "un milione di fucili!" che fu avallata dal dono di tre milioni di lire del re savoiardo ad Agostino Bertani (clicca qui per leggere il documento). L'appoggio alla campagna era confermato da altri indizi: tra i collaboratori di Garibaldi nell'organizzazione e nell'attuazione dell'impresa dei Mille c'erano  degli uomini legati a Vittorio Emanuele che ebbero un ruolo affatto secondario, stiamo parlando dell'esule ungherese Istvàn Türr e di Gaetano Trecchi, che era un ufficiale di ordinanza del re e  ufficiale di collegamento del generale.  Dietro i preparativi che si facevano a Genova si vociferava che ci fosse la mano di Vittorio Emanuele. Il sovrano nel frattempo si era avvicinato alla sinistra militare - tanto che Cavour temette di essere messo da parte - la quale organizzava materialmente la spedizione. Sulla posizione del re di fronte all'ipotesi dell'impresa e delle pieghe che poteva intraprendere,  scriveva il ministro dell'Interno Luigi Carlo Farini a Cavour che il re non voleva che "i tristi e i matti" compromettessero l'iniziativa ma neanche di non «dare ai Siculi gli ajuti che potevano "senza imprudenza"». Se in via ufficiale, il re si dichiarava contro l'azione garibaldina, dai fatti e dalla corrispondenza emerge un quadro ben diverso.  «Si può tuttavia affermare con sicurezza che egli era pronto ad approfittare del successo di Garibaldi sia a sconfessarlo in caso di fallimento, e al tempo stesso si proponeva di utilizzare lo  spauracchio di una rivoluzione garibaldina per strappare alla Francia qualche tangibile concessione in favore del patriottismo monarchico e antirivoluzionario». Giunto a Marsala, Garibaldi si dimostrò fedele alla monarchia: con il proclama di Salemi assunse la dittatura in Sicilia a nome di Vittorio Emanuele II. A questo punto il re stabiliva un canale diretto con il "suo" dittatore attraverso il conte Emerico Amari, il capitano Trecchi e il conte Litta, sconfessando l'azione per evitare ritorsioni internazionali accettando la mediazione della Francia e temporeggiando sull'ipotesi di una lega italiana con Francesco II di Borbone. Nel fermento rivoluzionario, si dovettero anche affrontare i vecchi rancori degli anni d'esilio e i contrasti tra La Farina e Crispi: l'intervento del re fu risolutivo e portò al richiamo del primo e alla nomina di Depretis, frutto del compromesso con Garibaldi aggiornato dai messi che freneticamente salivano e scendevano dalla Sicilia a Torino. Mentre il re disapprovava l'impresa davanti alle potenze europee, concordava con il generale la prosecuzione della marcia e Garibaldi risaliva dalla Calabria la penisola e giungeva fino Napoli. Lì, Giuseppe Garibaldi confermò la fedeltà al re di Sardegna sotto la cui autorità pose la marina militare napoletana. Il processo di unificazione continuava con l'occupazione dell'Umbria e delle Marche da parte dell'esercito sardo e la fine del Regno delle Due Sicilie. Ricordato e celebrato su tutti i libri di storia è l'incontro di Teano (clicca qui per leggerne una ricostruzione ad opera di Alberto Mario) - 26 ottobre 1860 - tra Garibaldi e il re, evento che chiude in modo definitivo la campagna dei Mille e momento in cui il generale consegna simbolicamente il testimone a Vittorio Emanuele II, che verrà proclamato il 14 marzo 1861 re d'Italia. Dopo l'Unità fu ricordato come il "re galantuomo" e  come il  "re soldato", immagine a cui lui stesso teneva molto, costruita dalle celebrazioni retoriche ma non sul campo dove sia nel 1859 a San Martino e Solferino (clicca qui per leggere il documento) sia nel 1866 il re non brillò certo per  capacità strategiche militari.
Il figlio di Carlo Alberto e Maria Teresa degli Asburgo-Lorena di Toscana, dal 1842 sposato con Maria Adelaide d'Asburgo, successe al trono nel 1849 con l'abdicazione del padre a conclusione del fallimento del biennio rivoluzionario 1848-1849. Fu grazie al presidente del consiglio dei ministri Massimo D'Azeglio che il "giovane e ombroso" re (per leggere le pagine del diario della Regina Vittoria d'Inghilterra dedicate a Vittorio Emanuele, clicca qui) mantenne lo Statuto Albertino, concesso dal padre nel momento rivoluzionario, ponendo lo Stato sabaudo all'avanguardia tra tutti gli Stati italiani e rendendolo un punto di riferimento per tutti gli esuli liberali. Il Regno di Sardegna fu così l'unico stato a conservare istituzioni liberali e rappresentative dopo il fallimento del moto quarantottesco e grazie alla rete di alleanze intrecciate da Cavour beneficiava del prestigio internazionale legato alla gestione della Guerra di Crimea. Malgrado i rapporti tra il re e il Conte non fossero dei migliori, fu grazie alla copertura diplomatica che Vittorio Emanuele II riprese con successo la politica espansionistica  nel 1859. I successi militari della Francia, alleata del Regno di Sardegna, avevano favorito l'azione degli agenti destabilizzatori piemontesi o collegati alla Società Nazionale di La Farina tra il maggio-giugno del 1859 nei Ducati di Modena e Parma, nel Granducato di Toscana e nelle Legazioni pontificie, dove con i plebisciti fu scelta la via dell'annessione al Piemonte.

C.S.

Principale bibliografia di riferimento:

- Cavour C., La liberazione del Mezzogiorno e la formazione del Regno d'Italia, vol. V, Dalle carte Cavour e dall'Archivio di Luigi Carlo Farini, Zanichelli, Bologna 1949-1954;
- Cognasso F., Vittorio Emanuele II, UTET, Torino, 1942;
- Guardione F., Il dominio dei Borboni in Sicilia dal 1831 al 1861, Torino 1907;
- Mack Smith D., Vittorio Emanuele II, Laterza, Roma-Bari 1972;
- Martucci R., L'invenzione dell'Italia Unita (1855-1864), Sansoni, Firenze 1999;
- Villari L., Bella e perduta. L'Italia del Risorgimento, Laterza, Roma-Bari 2009.