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GIOVANNI BATTISTA NASELLI

Nato a Palermo, fu preposito dei padri filippini della città. Il 7 febbraio 1851 fu nominato vescovo di Noto. Come tutti i primi pastori di quella diocesi, si trovò a doverne istituire le stesse basi strutturali: così, ad esempio, si occupò di avviare i lavori per dare una sede opportuna all'episcopio e al seminario nei locali dell'ex convento dei Padri Minori Osservanti di quella città.
Il 27 giugno del 1853, mentre svolgeva la sua visita pastorale nella diocesi netina, ricevette la nomina ad arcivescovo di Palermo.
Negli anni convulsi della rivoluzione e dell'unificazione si trovò ai massimi vertici della Chiesa siciliana, svolgendo, in qualche modo anche un ruolo di rappresentanza quasi ufficiale della stessa. Ma, diversamente dalla maggioranza dell'episcopato dell'isola, l'arcivescovo di Palermo assunse, quasi da subito, un atteggiamento favorevole alla dittatura garibaldina e al Regno sabaudo. Il suo ruolo e le sue decisioni risultano utili a comprendere le particolarissime circostanze nelle quali la gerarchia ecclesiastica siciliana veniva a trovarsi in un contesto come quello che si determinò a partire dal 1860.
Nel verbale redatto in occasione dell'accettazione formale del risultato del plebiscito di annessione della Sicilia al Piemonte da parte di Vittorio Emanuele II, tra le firme delle autorità chiamate a legittimare quel solenne avvenimento, subito dopo quelle dei rappresentanti dello Stato, troviamo la firma dell'arcivescovo Naselli. Questa posizione del Naselli rivela una scelta ben precisa fra le due vie che si imponevano ai presuli dell'isola, e con particolare rigore all'arcivescovo di Palermo: da un lato una naturale obbedienza al papa, dall'altro l'obbedienza all'antico istituto della Legazia Apostolica. Se per un verso, infatti, il Naselli non avrebbe dovuto dare nessuna legittimazione all'operato di Vittorio Emanuele II - che era stato scomunicato dopo l'annessione dei territori pontifici dell'Emilia e della Romagna da Pio IX - per altro verso la Legazia Apostolica prevedeva che il sovrano regnante sull'isola dovesse considerarsi legato nato del papa, a prescindere dalla volontà di quest'ultimo. Vittorio Emanuele II dunque era il capo della Chiesa isolana come poco prima lo era stato in suo nome Giuseppe Garibaldi. Naselli, che scelse l'obbedienza al sovrano, non era però affatto di sentimenti liberali, ed era anzi da considerasi "infallibilista" e "temporalista", propenso cioè rispettivamente ad accettare l'infallibilità del papa e il suo potere temporale (il 2 febbraio 1860 aveva emanato la sua lettera pastorale Al clero e al popolo sul potere temporale in cui sosteneva che la causa del pontefice era la causa di tutti i cattolici).
Queste circostanze ci danno la misura della complessità della situazione in atto e del difficile equilibrio imposto ad un vescovo a volte rimproverato di non essersi spinto troppo in là nel sostegno alla causa nazionale (ma egli aveva dato il suo avallo al periodico Religione e Patria), e nello stesso tempo inviso a Mastai Ferretti, che gli negò infatti il cappello cardinalizio.
Ma il Naselli possedeva un carattere assai più deciso di quello che la vulgata portò a credere, tanto è vero che egli levò alta la sua voce per protestare contro il generale Cadorna, che in seguito alla insurrezione palermitana del '66, si scagliava contro il clero accusandolo di avere contribuito a fomentarla.
Da ultimo, si ricordi il suo sostegno, anche pastorale e teologico, all'opera del giovane prete Giacomo Cusumano che il 21 febbraio 1867 aveva costituito l'Opera del Boccone del Povero.

M.L.

Principale bibliografia di riferimento:

- Di Carlo N., Nelle esequie di G.B. Naselli, s.l., s.d;
- Stabile F. M., Giovanni Battista Naselli, voce in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, a cura di F. Traniello e G.Campanini, III/2, Casale Monferrato, 1984.