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Il ruolo della Chiesa in una ricostruzione di parte borbonica

Da Storia delle due Sicilie dal 1847 al 1861, di G. de' Sivo, vol. 2, Trieste 1868, pp. 134-135


«Intanto si lanciavano sulla Chiesa, a saccheggiar monasteri, capitoli, mense vescovili, luoghi pii, imponendo vettovaglie, letti, ospizio e danari. E in quel clero insulare ov'era un po' di fradicio trovarono di preti e frati coadiutori allo spoglio; i quali messi su con tuniche rosse, e insieme pistole crocifissi e fasce tricolorate, salian su' pergami a predicare eresie e infamie al papa, a canzonare le scumuniche e le cose sante, sino a meritar gli elogi del Garibaldi. Questa vernogna del garibaldese elogio toccò anche a monsignor Giambattista Naselli arcivescovo di Palermo, siccome il primo prelato italiano che rendesse visita ad esso Garibaldi. Uomo era pusillo, facile strumento d'astuti: movealo un Luigi Siciliano suo procuratore, il nipote Sant' Elia, e certi pretuzzi italianizzanti, un Nascé, un Casaccio, un Teresi e altri che il tirarono a inchinarsi al dittatore; onde andò e tornò dall'Olivuzza alla casa pretoria, con turpi onoranze, tra suoni e strumenti e bandiere. Anche elogi grandi meritò il canonico Ugdulena, fazioso del 48, graziato e premiato con promozioni; il quale l'anno innanzi s'era col Pontefice scolpato de' suoi trascorsi ; ora ripentuto del pentimento, rifattosi liberale, meritò salire a ministro. E più meritò promovendo le bande rivoluzionarie; sputando lettere a' vescovi contro le canoniche discipline e la libertà della Chiesa; e approvando quel diluvio di protestantismo sulla terra siciliana. Nondimeno molti furono illibati e degni ministri dell'altare, e in Palermo, e in tutta l'isola, che spregiando calunnie, carceri ed esigli, s'alzarono a sostegno della Chiesa. Il vescovo Guttadauro di Caltanisetta dichiarò alto non pareggiar pe' novatori, e severo a' suoi lo inibì. Il Criscuolo vescovo di Trapani minacciò scomuniche e sospensioni a qualunque religioso rispondesse all'appello garibaldesco. Il Natoli vescovo di Caltagirona meritò che una schiera di sgherri entrassero sin nelle sue stanze, per istrapparlo dal palazzo e dalla diocesi. Il Papardo vicario generale di Messina, poc'anzi con una pastorale (encomiata dal S. Padre) avea detto i Garibaldesi predoni nemici di giustizia; però entrati questi, pochi tristi pretazzuoli il plaudirono; e il Garibaldi a vendetta chiamò il vescovo a Palermo. Ei si negò, e fu preso e tradotto colà, per esser giudicato da una giunta speciale, che non trovò da condannare; invece gli s'intimò l'esilio; e protestendo egli non partirebbe se non a forza , a forza fu sbandito».