Giovedì, 18 aprile 2024
Il portale: ricerca
Home 
Home | I 150 anni dalla spedizione dei mille | Sicilia 150 | Un mosaico di attori | Biografie | Garibaldi | A Napoli

A Napoli

La conquista della Sicilia è compiuta: adesso bisogna passare lo stretto. In Calabria, tuttavia, si trovano diversi reparti dell'esercito borbonico ben armati e ben addestrati. Il progetto è di difficile attuazione. Nonostante questo, con un colpo dei suoi, Garibaldi, insieme a 3.600 volontari, tenta la sortita, sbarcando sulle coste calabre l'8 agosto. Quella stessa notte, dopo un accanito combattimento, è presa Reggio, e si arrende il castello dove si è asserragliata la guarnigione borbonica. La marcia prosegue. Intorno a San Giovanni sono acquartierati 4.000 soldati napoletani: il generale avanza in mezzo ai nemici, ricordando che anche loro sono italiani, ed esortandoli ad unirsi a lui. Cominciano così i primi sbandamenti dell'esercito di Francesco II, anche se sono in pochi quelli che scelgono effettivamente di passare al fronte nemico. Ai i garibaldini si arrendono intanto i forti di Alta Fiumara, Torre Cavallo e Scilla: la flotta borbonica, minacciata da terra dalle artiglierie, abbandona lo stretto. In meno di due settimane, i volontari si impadroniscono di fortezze, cannoni, fucili, viveri, cavalli e muli. L'esercito borbonico è al collasso e la strada per la capitale sembra aperta, anche se dista ancora più di 500 chilometri. Garibaldi si preoccupa dei suoi: «l'esercito deve marciare su Napoli a marcia regolare; avendo riguardo al buon nutrimento dei militi, non stancarli molto, procurare che facino una conveniente pulizia, riparare possibilmente l'abbigliamento loro [...]; accrescere i corpi con volontari, lasciare convenevoli depositi», sono queste le sue istruzioni. Ma la situazione di Napoli, dove si teme un colpo di Stato reazionario, impone che la meta sia raggiunta in fretta: il generale decide così di precedere i suoi con pochi fidi. Consapevole dell'arrivo imminente dei garibaldini, Francesco II il 5 settembre decide di abbandonare la capitale, e di rifugiarsi nella piazzaforte di Gaeta. Il 6 redige gli ultimi atti del Regno delle Due Sicilie, e intanto Garibaldi è a Salerno, ad appena 70 chilometri. Decide di percorrerli in treno. Giunto alla stazione, entra finalmente in città: percorre via Toledo in carrozza, poi si reca al Duomo, dove - per iniziativa di fra Pantaleo - si intona il Te Deum di ringraziamento. Il conquistatore è al culmine della potenza e ha nelle sue mani le sorti del Regno. A lui guardano i democratici italiani: persino Mazzini corre a Napoli. In quel frangente, Giuseppe è ancora convinto di poter indurre Vittorio Emanuele II a sfiduciare Cavour (clicca qui per leggere la lettera di Guerrazzi Garibaldi e Cavour, Genova 1860), per tentare di unificare tutta la penisola, Roma compresa. Intanto, chiama Bertani alla Segreteria, nel tentativo di attuare un programma di governo di chiaro indirizzo democratico: questo apre però una profonda frattura con il Ministero di Liborio Romano, formato da moderati, che si propone piuttosto di riportare il Paese all'ordine, e di farlo in fretta. Gesta militari e vicende politiche non procedono più di pari passo: la sconfitta dell'esercito borbonico sul Volturno - celebrata come acme dell'epopea dei Mille - precede di poche ore la nomina di Pallavicino a prodittatore di Napoli; in quel mandato c'è tutta l'intenzione di rafforzare la corrente annessionistica per sbarrare il passo all'ascesa garibaldina.
Nel giorno della vittoria, il generale è così costretto a constatare che il suo sogno sta per svanire. Il 21 ottobre 1860 si svolgono i plebisciti, con una netta vittoria del . Il 26 Garibaldi è a Teano, e lì incontra Vittorio Emanuele II a cui consegna le sue conquiste (clicca qui per leggere l'opera Garibaldi, Vittorio Emanuele, Cavour nei fasti della patria, di Carlo Emilio Curatulo, Bologna 1911). Per Giuseppe sono giorni pieni di amarezza: il progetto di liberare tutta l'Italia, e soprattutto di giungere a Roma, si è infranto. Il 7 novembre entra a Napoli insieme al re, e il giorno dopo la sua autorità cessa. Nonostante abbia proposto di rimanere in carica come Luogotenente ancora per un anno, la sua richiesta è respinta. Il 9 si imbarca sul piroscafo americano Washington, e da lì muove verso il suo rifugio...

A.F.