Sabato, 20 aprile 2024
Il portale: ricerca
Home 
Home | I 150 anni dalla spedizione dei mille | Sicilia 150 | Un mosaico di attori | Biografie | Maniscalco | La descrizione di Maniscalco 2

La descrizione di Maniscalco

Da Storia delle Due Sicilie, di G. de' Sivo, voll.2, Trieste, 1868, pp. 25-27.

«Il Maniscalco.
Salvatore Maniscalco, già uffiziale di Gendarmi, ito in Sicilia col Filangieri nel 40, fu prevosto del campo, poi ebbe la sorveglianza di Palermo; dove mostrato animo e mente, fu a' 27 ottobre 51 messo a direttore di polizia nell'isola. Mantenne l'ordine legale senza noiare gli onesti, scelse uffiziali a suo modo, die' buoni soldi, severe regole e militare disciplina; ebbe il plauso de' più, sventò ogni tranello, sciolse ogni conventicola faziosa, tenne il pié sulla setta. Risurte con l' uscita del Filangieri le nuove speranze, il Maniscalco restò al posto, solo contro tutti. Sino allora stato amico di gentiluomini, n'aveva avuto lodi; vistili a cospirare, tenne al suo dovere; ed eccolo di buono diventato malo. Cieco il Castelcicala,egli veggente, unico puntello alla potestà, cominciò a sentire i dardi settarii.
Come a Napoli, andò anche colà il motto del festeggiare le giornate di Magenta e Solferino; dicevasi aperto Austria aver perduta l'Italia; e gli stessi realisti ripetevano stolidamente esser bene che il re non fosse più mancipio [dominio, ndr] di Tedeschi. Dimenticavano il re anzi essere stato troppo indipendente , e '1 non aver soccorso Austria giusta i trattati,  esporrebbelo a esser mancipio d'altri, o cadere. La domenica 3 luglio 59, correndo le quarantore alla chiesa di Portosalvo, s'eran fatti inviti per illuminazioni; che si festeggiasse Solferino pochi sapevano. Dopo l'imbrunire apparvero lumi ai balconi e splendidi doppieri in tre casini: presso i Centormari, alla Madonna del Cassero, e in quello de' Nobili in Piazza Bologna; poi gente a spasseggiare. Il Maniscalco che il fine intendeva, mal sopportando quello stecco negli occhi, mandò poliziotti; che vedendo giovani parlar alto di politica avanti al caffé di Sicilia, intimarono si sciogliessero; e trovala resistenza alzarono le mani. Fu un po' di tumulto; scende il Maniscalco ed é fischiato; infuria, e seguito da dicci de' suoi entra nel casino de' nobili, né udendo le dolci parole del marchese Ugo (legittimista) col bastone abbatte i doppieri. Alla dimane fa pigliare quarantatré de' nobili della sera, non già i figli del Santelia ch'eran pure i principali. Per contrario quel mattino seguirono a vendetta plausi infiniti al console inglese nella Flora. Certo fu indecoroso l'atto del direttore sceso di persona a' fatti in Piazza. S'andò sussurrando grandissima offesa; innocenti quei lumi, i diporti, i serenanti; gli sgherreschi modi insulto alla nobiltà; questa dover raccogliere il guanto. Messina e Catania, ma più quella, fecero eco; il resto dell'isola non fiatò. Appositi mandatarii col braccio dei consoli stranieri, andavano e venivano da Torino. Né furono arrestati , ma i tribunali codardi o felloni liberavanli. S'era in punto che forviata l'opinione pubblica, la legge non è più presidio allo Stato; e soverchiato il principio di autorità riesce impotente: volevasi legge militare a salvarlo.
La notte dell'8 al 9 ottobre di quell'anno 59, si volea far novità in Palermo con facinorosi del contado: saputosi, la potestà occupò i luoghi, e sventò la cosa. Nondimeno da sessanta facinorosi accozzati m Bagheria volean tentar la notte d'entrar nella città, ma affrontati per via dalla forza pubblica furon rotti. Al mattino il Maniscalco die' un'ordinanza, e fe'  il disarmamento di Palermo, l'arme serrò in Castellamare, e promise restituirle, chetati quei rumori.
§ 28. Tentano assassinarlo.
Questo scacco sì irritò i congiuranti, che statuirono torsi davanti quell'incomodo direttore di polizia. Di costoro trovo i nomi nelle memorie scritte dal Maniscalco medesimo (ora defunto) cioé il Trigona principe di S. Elia, Antonio Pignatelli di Monteleone, il barone Riso, il figlio del marchese Rudinì, il principe di S. Cataldo, il professore Casimiro Pisani, principe Corrado Niscemi, Francesco Riso popolano, ed altri; i quali per seicento ducati trovarono l'assassino, che fu Vito Farinella camorrista, cui dettero il prezzo del sangue, e un pugnale. Il direttore la domenica 27 novembre dopo il mezzodì andava al duomo a udir la messa; tenea per mano due suoi figliuoletti, seguivalo la consorte incinta; pioveva, eran le strade deserte. Entrato dal vestibulo di dietro, accostandosi alla pila dell'acqua benedetta, si sente da tergo conficcare un ferro sotto i reni; vacillò, ma visto fuggir l'uomo gli corse appresso, poi venne manco; l'inseguì un famigliare, e indarno, ché i congiurati avean preparato l'asilo al sicario in quei viottoli presso la cattedrale; il quale gittata barba e cappuccio, uscì di nuovo, e si mescolò nella folla de' curiosi.
a città atterrita del reo colpo, i principali corsero a onorar di visita il direttore; tra' primi i congiuratori atteggiati a commiserazione; ma la ferita fu lieve e guarì presto. Il re gli scrisse, e diegli la Gran Croce di Francesco I e l'assimilazione al grado e il soldo di direttore di ministero. Dopo una settimana preso era il sicario Farinella; ma il tribunale procedendo legalmente agli atti, miselo provvisoriamente in libertà.
Dell'assassinio già un giornale svizzero avea data la nuova anticipata; mancato, la tattica settaria fe' suo debito. Nella città spargevano il fatto non aver colore politico ma personale; nell'altre parti infamavan la vittima, plaudivan l'assassino; corsero pel mondo calunnie inique, menzogne sperticate e fantasiose come novelle arabe sulla sicula polizia, piovevano libelli, e giornali da ogni banda. Anche il drammaturgo Victor Ugo scagliò di Francia la sua pietra. Il tutelatore dell'ordine fu detto oppositore alle grandi aspirazioni de' popoli; i suoi precedenti meriti diventarono colpe; e chi l'avea già plaudito, poi che mutò pensieri, gittò l'onta sull'uomo che non avea mutato.
Per non tornare su questa turpezza, noto che sendo proceduti gli atti fiscali contro il feritore, avvenne come dirò lo scoppio della congiura della Gancia, dove ferito a morte il fontanaio Antonio Riso, morente all'ospedale civico, svelò i nomi del comitato, de' mandanti, del mandatario Farinella, del prezzo di seicento ducati, e confermando la propria reità spirò. Ma il sicario era in salvo, unito a' rivoltosi fuggiti a' campi. Trionfato poi il Garibaldi, a questo si presentò il Farinella vantandosi del colpo, mostrandone il certificato del Monteleone e del barone Riso; ed ebbe da quel rimuneratore d'assassini quindici ducati al mese di pensione, cui oggidì re Vittorio Emmanuele sta pagando.
Dopo questo ferimento, il comitato composto di nobili borghesi e popolani, denominato Bene pubblico, faceva collette per comprare arme e munizioni. Conseguenza necessaria dell'audacia faziosa era il rigore governativa per contenerla; quindi più vigilanza, pia censura di stampa, e arresti di felloni; quindi la libertà del paese dovea risentire la tensione de'1egami e della condizione pugnace tra governanti e governati. E i sommovitori accusavano la potestà regia di quei rigori da esso loro provocali».