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Lettera di Maniscalco a Castelcicala

Da Il dominio dei Borboni in Sicilia dal 1830 al 1861 in relazione alle vicende nazionali, di F. Guardione, vol. II, pp. 182-183.

«Palermo, 1 aprile 1860.
Il direttore Salvatore Maniscalco al principe di Castelcicala, Luogotenente in Sicilia.
Ne' telegrammi quotidiani che ho diretto a V. E. le ho sommesso che questa città è agitata ed allarmata. L'esaltazione politica da una mano di taluni sciagurati che mirano al disordine e le apprensioni dell'universale della popolazione  dall'altra che teme una conflagrazione, han dato, in questi giorni alla città una sinistra fisionomia, e portato al colmo la concitazione degli uni, e lo spavento  dell'altra.
Le apprensioni sono andate si innanzi, che quasi tutte le famiglie han fatto provvigioni di  vettovaglie, ed in talune ore del giorno e della sera si è sperimentata penuria di pane e di pasta, comunque gli opifìci annonari, vista della ricerca, avessero addoppiato il numero degli operai.
Le voci  d'un imminente tumulto, causa e fomite di questa perturbazione morale, vanno intorno da mattina a sera, accompagnate da quel corredo di esagerazioni e di fantasmagorie sulle forze che i rivoluzionari di tutti i tempi e di tutti i paesi son usi adoperare ne' giorni di crisi per raggiungere i loro fini. Il contegno calmo e pacato, e risoluto dell'Autorità se riesce ad imporsi agli uomini del disordine non può arrivare a calmare l'ansietà della moltitudine, la quale commossa dal ciarlatanismo rivoluzionario, aggiusta fede ai pericoli che dicesi sovrastare all'ordine pubblico.
I faziosi  hanno il proponimento d'irrompere da un momento all'altro, come meglio ne verrà il destro, e sono divorati dall'ansietà di venire ad un atto disperato.
Però mancano sino a questo giorno di coesione e di mezzi ed aspettano  incidente sopraggiunga per sollevarsi.
Essi però son circuiti e sorvegliati, e la forza pubblica veglia attentamente alla conservazione  dell'ordine pubblico.
L'audacia e la baldanza delle persone a manca scritte (Cav. D. Corrado Gambacorta, D. Francesco Aglialoro, D. Antonio Campo, D. Giovanni Crescenti figlio, D. Salvatore Pandolfini, Capo Maestro D. Giovanni Patricola, D. Vincenzo Tramontana), delle quali una parte ha dato a credere che costituisca il Comitato Rivoluzionario, mi hanno messo nella necessità di farli ghermire nella scorsa notte, e far loro praticare delle visite domiciliari.
La pazienza e la longanimità tornano funeste al Potere ne' giorni di crisi, e l'inazione dell'autorità innanzi alle mene de' rivoluzionari incoraggia i partigiani del disordine.
Forse questa misura per le tristizie dei tempi, ne' quali versiamo, e per le speranze che la perigliosa condizione in cui trovasi l'Italia, non porterà grandi fratti, ma è un argomento agli occhi dei faziosi della rivoluzione e della vigilanza del E. Governo.
Altri individui sonosi, che diconsi i membri del Comitato e che agitano il paese, ma non si è giudicato opportuno di arrestarli per non perdersi in una volta le intelligenze che la Polizia si ha nei complotti dei faziosi.
La notte de' 30 a' 31 ha fatto disarmare e sciogliere la guardia urbana del torbido comune di Misilmeri, nella quale eransi manifestati sintomi sediziosi. Il disarmamento eseguitosi da 60 compagni d'armi, ebbe luogo in poche ore e senza riluttanza.
Tatti i comuni che stanno ne' dintorni di Palermo, abitati da gente la più parte facinorosa, pendono da' rivoluzionari di Palermo, e promettono, siccome hanno praticato in tutte le rivolture di questa Città, di accorrere in armi al primo segnale.
La forza pubblica accede a quando a quando in tali comuni, e va ghermendo i più ribaldi che hanno segrete intelligenze con Palermo.
Nelle Provincie v'è calma, ma non si è senza inquietudine per lo stato di effervescenza nel quale trovasi Palermo.
In Messina ferve sempre lo spirito fazioso.
In Catania vi è pacatezza. Nell'una e nell'altra città si aspetta la sollevazione di Palermo.
E' questa la situazione dello spirito pubblico ch'io mi occorre sottomettere alla E. V. per la debita sua intelligenza».

 

Tratto da De Cesare R., La fine di un Regno, voll.2, Città di Castello, 1900, vol. I, p.7

 «Fu l'unico funzionario che fece il suo dovere sino all'ultimo, chiudendosi in palazzo Reale col generale Lanza, all' ingresso di Garibaldi, e solo uscendone dopo la capitolazione».