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1860

1860

1860: regia di Alessandro Blasetti
Soggetto di Gino Mazzucchi
Sceneggiatura di Alessandro Blasetti e di Gino Mazzucchi
Direttore di produzione: Emilio Cecchi
Interpreti principali: Giuseppe Gulino (Carmeliddu), Aida Bellia (Gesuzza), Totò Maiorana (Carmelo Trau), Gianfranco Giachetti (padre Costanzo), Mario Ferrari (colonnello Carini), Vasco Creti (l'autonomista), Cesare Zappetti (il giobertiano), Ugo Gracci (il mazziniano)
Fotografia: Anchise Brizzi, Giulio De Luca
Tecnico del suono: Vittorio Trentino
Montaggio: Alessandro Blasetti, Giacinto Solito, Ignazio Ferronetti
Scenografia: Angelo Canevari Vittorio Cafiero
Musiche: m. Gino Marinuzzi jr.
Costumi: Vittorio Nino Savarese
Produzione Cines
Anno di distribuzione 1934. Nuova edizione con il titolo 1860. I mille di Garibaldi nel 1951
Durata: 80 minuti

 

Ritenuto, a ragione, il capolavoro di Alessandro Blasetti, 1860 rievoca alcuni momenti cruciali della spedizione dei Mille: la partenza da Quarto e la battaglia di Calatafimi, emblema questa di tutta quanta la marcia vittoriosa di Garibaldi nel Regno delle Due Sicilie. Gli eventi sono però inseriti in un contesto storico in cui al ruolo di protagonisti assurgono i siciliani in rivolta contro i Borbone, piuttosto che Garibaldi stesso, inquadrato rare volte e da lontano. Un'interpretazione del Risorgimento che legge, pertanto, l'attivo coinvolgimento delle masse popolari nella lotta per la libertà e l'unità di Italia, più in linea con la filmografia precedente, quella del cinema muto (Il piccolo garibaldino, I Mille), che con quella coeva di stampo fascista, quale espressa da un film come Villafranca di Gioacchino Forzano, tratto dal dramma storico omonimo scritto dallo stesso Forzano con Benito Mussolini, in cui trova spazio il mito della vittoria mutilata, determinata proprio dall'armistizio di Villafranca, di Vittorio Emanuele II contro gli austriaci.
1860 venne girato nel 1932, anno delle celebrazioni ufficiali per il cinquantenario della morte di Garibaldi, ma a causa delle difficoltà in cui si dibatteva la Cines dopo la scomparsa di Stefano Pittalunga e la nomina di Emilio Cecchi alla direzione della società, poté uscire nelle sale solo nella primavera del 1934, bruciato sul tempo, forse non casualmente, proprio da Villafranca.
La collaborazione di Blasetti con Cecchi fu importante e di spessore, perché questi oltre a intervenire sulla revisione della sceneggiatura e a seguire tutti le fasi di realizzazione del film come direttore della produzione, suggerì al regista la lettura dell'opera memorialistica di Cesare Abba, Da Quarto al Volturno. Noterelle d'uno dei Mille, grazie alla quale un peso rilevante acquistò, nella struttura narrativa dell'opera cinematografica, la figura del colonnello Giacinto Carini, esule palermitano a Parigi dal 1848.
I set siciliani, dopo un primo sopralluogo effettuato da Blasetti in persona, vennero localizzati nei paesini di Partitico e Valguarnera, mentre il resto delle riprese (per lo più interni) fu effettuato a Civitavecchia. Gli attori principali, Giuseppe Gulino, nel ruolo di Carmeliddu, e Aida Bellia, in quello di Gesuzza, vennero scelti fra attori non professionisti per la loro forte capacità espressiva, anticipando, anche in questo, aspetti che saranno poi della grande stagione del cinema neorealista italiano.
Antefatto della vicenda narrata sullo schermo è la rivolta della Gancia, scoppiata a Palermo il 4 aprile 1860 e subito soffocata nel sangue, di cui si dà notizia attraverso delle didascalie sovrapposte alle prime inquadrature.
Le immagini iniziali, dalla forte pregnanza semantica, delineano un quadro di repressione violenta sui siciliani in rivolta messa in atto da reggimenti svizzeri presentati come operanti in Sicilia: un salice piangente ripreso in soggettiva attraverso le grate di una finestrella, una scarica di fucile e poi, a seguire, una forca col cappio penzolante e un boia che sostiene le gambe di un uomo impiccato. E ancora un lanciere a cavallo che infilza crudelmente i corpi straziati di alcuni cadaveri, rovine fumanti, un uomo in catene trascinato via da un drappello di soldati. Nel silenzio crudo delle inquadrature improvviso irrompe lo scontro tra una gruppo di patrioti, vestiti con pelli di pecora, e i soldati a cavallo, in cui i primi hanno la meglio sui secondi, annientandoli col loro coraggio, nonostante la sproporzione di armi e mezzi a disposizione: un chiaro flash forward di ciò che avverrà alla fine, nello scontro campale sulle alture di Calatafimi. E' la banda di rivoltosi guidata da Carmelo Trau, nascosta sulle montagne dell'entroterra, in attesa di chiare disposizioni sul da farsi per continuare la lotta contro i soldati di Francesco II.
Tali direttive vengono portate da un frate, padre Costanzo, che informa Carmelo della necessità di inviare subito a Genova, via Civitavecchia, un latore di un messaggio di Rosolino Pilo per il colonnello Carini, affinché si affretti la partenza della spedizione di volontari guidati da Garibaldi in soccorso dei patrioti in lotta, che rischiano di soccombere di fronte alla forza del nemico. Viene scelto Carmeliddu, sposato da pochi giorni con la figlia di Trau, Gesuzza. Mentre Carmeliddu è in viaggio verso la costa per imbarcarsi per Civitavecchia, l'esercito borbonico occupa il paesino dove vive padre Costanzo, uccide il fratellino di Gesuzza, Totuzzo, e scopre il luogo in cui i ribelli si nascondono, prendendoli prigionieri. Il primo atto compiuto è quello di privare la campana del paese del battaglio, per impedire che venga usata per chiamare a raccolta i ribelli dei paesi limitrofi.
In un'alternanza di sequenze suturate tra loro da didascalie esplicative su quanto sta accadendo, Blasetti ci fa seguire sia il viaggio avventuroso di Carmeliddu fino a Genova, sia gli avvenimenti che intanto si svolgono in Sicilia. Qui Gesuzza e padre Costanzo vengono interrogati da un ufficiale in lingua tedesca perché rivelino lo scopo della missione del giovane; alcuni componenti della banda di "picciotti" vengono barbaramente fucilati. Gli altri, imprigionati nella chiesa del paese, recitano il rosario sotto la guida di padre Costanzo, implorando l'intercessione divina del santo patrono per la loro sorte.
Carmeliddu, intanto, dopo aver rischiato di andare alla deriva, viene tratto in salvo da un brigantino che lo sbarcherà fortuitamente a Civitavecchia. Seguendo le disposizioni impartitegli da padre Costanzo, si reca presso un caffè, alla ricerca del contatto che dovrà consentirgli di proseguire il suo viaggio. Qui ascolta le conversazioni di alcuni avventori che discutono delle sorti future dell'Italia e dei nuovi assetti territoriali che si vanno delineando dopo le conquiste del '59. Comincia anche il confronto formativo di Carmeliddu con le varie posizioni politiche espresse dai maggiori teorici della lotta risorgimentale italiana: durante il viaggio che lo condurrà a Genova incontra, infatti, dapprima un mazziniano; poi, sul treno, un giobertiano e un autonomista, tutti fermamente saldi nelle loro posizioni. Mentre il giobertiano e l'autonomista discutono animatamente si fanno togliere il posto a sedere da una anziana coppia di tedeschi, a dimostrazione di quello che poco prima una didascalia aveva segnalato: «Anche allora chi discuteva non si rendeva conto di moltiplicare gli olocausti del popolo che tace».
Carmeliddu giunge finalmente a Genova e comunica al colonnello Carini il messaggio di padre Costanzo, ma è messo al corrente che la spedizione è annullata, per la scelta di Garibaldi di rinunciare. Tale decisione è presto superata e finalmente i volontari si imbarcano da Quarto, per la gioia di Carmeliddu che vedrà accanto a sé, decisi infine ad agire al seguito di Garibaldi, al di là di tutte le divisioni ideologiche che prima li avevano separati, proprio il mazziniano, il giobertiano, l'autonomista in cui si era imbattuto prima.
I Mille giungono a Marsala e, prima della battaglia di Calatafimi, Carmeliddu ritrova Gesuzza e tutti gli abitanti del suo paese. Questi, all'annuncio dello sbarco di Garibaldi, ritiratisi i soldati borbonici, erano accorsi incontro ai garibaldini in massa, guidati da Carmeo Trau e da padre Costanzo, armati solo di forconi e bastoni e portando in processione la statua del santo patrono.
La parte conclusiva del film è occupata tutta dalla battaglia di Calatafimi, durante la quale i volontari si battono con coraggio e determinazione animati dalle parole fuoricampo di Garibaldi, fino alla vittoria finale, salutata da Carmeniddu, stretto in un abbraccio con Gesuzza, con un grido liberatorio: «Garibaldi ha detto che amu fattu l'Italia, Garibaldi ha detto che amu fattu l'Italia. Amu fattu l'Italia, Gesuzza, amu fattu l'Italia», in un crescendo di consapevolezza identitaria che fa di lui non più un siciliano in lotta contro i Borbone, ma un Italiano che combattendo accanto ad altri Italiani, sul campo bagnato dal sangue dei martiri, potrà abitare «la casa dei fratelli cioè la patria», secondo la lezione che aveva prima appreso dal colonnello Carini.
L'ultima sequenza mostra, in continuità storica, degli anziani garibaldini in camicia rossa, presso il Foro imperiale a Roma, scattare sull'attenti e prestare il saluto militare ad una schiera di giovani uomini in camicia nera che sfilano davanti a loro, quasi a voler rivendicare un passaggio ideale di consegne.
Nel 1950, il linea con i tempi mutati, il finale venne modificato e la scena, chiaro omaggio al regime, venne tagliata e sostituita con un'inquadratura in cui alla campana muta viene rimesso il battaglio, perché possa tornare a suonare.
La pellicola infatti venne riedita e rimessa in circolazione nelle sale cinematografiche nel 1951, col sopratitolo I mille di Garibaldi, grazie ad un contributo economico approvato dal Ministero del Turismo e dello Spettacolo, necessario per adeguare il film ai nuovi ritrovati della tecnica cinematografica.
I cambiamenti riguardarono il taglio, oltre che di questa, anche di altre scene; l'eliminazione di quasi tutte le didascalie interne al film; l'introduzione di alcune voci fuori campo e di un tema musicale in funzione di raccordo; la sostituzione di alcuni dialoghi; l'attuazione di un montaggio più moderno ed efficace, che non modificarono comunque la sostanza del film, che rimane ad oggi uno dei migliori film sulla spedizione dei Mille in Sicilia.

T.G.