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Bronte, cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato

Bronte. Cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato

Bronte. Cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno mai raccontato: regia di Florestano Vancini
Soggetto: Benedetto Benedetti, Fabio Carpi, Florestano Vancini
Sceneggiatura: Nicola Badalucco, Fabio Carpi, Leonardo sciascia, Florestano Vancini
Interpreti principali: Nicola Lombardo (Ivo Garrani), Nino Bixio (Mariano Sigillo). I cappelli: Ilja Dzuvalekovski (Nunzio Cesare), Rudolf Kukiæ (Ignazio Cannata), Miodrag Lonèar (Rosario Leotta), Andjelko Stimac. I berretti: Loris Mazzocchi (Longhitano Longhi), Slobodan Dimitrieviæ (Nunzio Sampietri), Giuliano Petrelli (Ciraldo Frajunco), Janez Skop (Rosario Fidala), Bert Sotlar (Arcangelo Attinà). I carbonari: Stojan Arandjelovic (Calogero Gasparazzo), Andrea Aureli (Nicola Miccichè). I preti: Filippo Scelzo (Padre Palermo), Mico Cundari (Padre Brusio), Pietro Fuselli (Padre Radice). Le donne: Anna Maria Chio (Maria), Edda Di Benedetto (Nunziatina Cannata), Anna Maria Lanciaprima (Lucia Samperi).
Scenografia: Mario Scisci
Costumista Silvana Pantani
Montaggio: Roberto Perpignani
Musica: Egisto Macchi
Produzione: Alfa Cinematografica s.r.l., RAI, Histria Film
Anno: 1972
Durata: 110' nella versione del 1972; 165' nella versione televisiva per la RAI; 130' versione restaurata 2001.



Il film Bronte di Florestano Vancini racconta per la prima volta sugli schermi la rivolta di Bronte, il tragico episodio avvenuto nell'agosto 1860 nel paesino alle falde dell'Etna, poco prima che i garibaldini lasciassero la Sicilia alla volta della Calabria.
La lunga e ironica didascalia che scorre nei titoli di testa chiarisce subito l'interpretazione in chiave antistorica, controfattuale che il regista intende dare della spedizione dei Mille, opposta al modo consueto e alquanto trionfalistico con cui era stata raccontata fino a quel momento: «Quando Garibaldi l'11 maggio 1860 sbarca a Marsala con i Mille, la Sicilia insorge. Il popolo siciliano vede in Garibaldi non solo il liberatore della tirannide dei Borbone, ma soprattutto il liberatore dell'ancora più dura tirannide della miseria. Sta per nascere l'Italia, la libera nazione nella quale gli italiani del Nord, del Centro e del Sud dovranno riconoscere la nuova Patria. I fatti narrati in questo film sono realmente accaduti. L'impegno dei realizzatori è stato di ricercare e ricostruire avvenimenti e personaggi nella loro verità storica, non di inventarli».
Il film si apre con alcune scene di cruda violenza in cui un bracciante, Arcangelo Attinà e il figlioletto Alfonso, sorpresi a raccogliere legna da Rosario Leotta, campiere e guardaboschi della Ducea di Nelson, vengono bastonati a sangue. Altre scene si susseguono in cui uomini e bambini denutriti, scalzi, laceri, sporchi, senza un volto e senza un nome, scavano tra i rifiuti alla ricerca di cibo, mangiano l'erba dei campi, le radici degli arbusti. E' questo l'antefatto che, come in una tragedia greca, spiega e anticipa il volgere drammatico degli eventi.
La vicenda si snoda in un arco temporale ristrettissimo, una settimana, mentre nella realtà storica quegli eventi si svilupparono nell'arco di quasi un mese. Il trascorrere del tempo nel film viene segnato dall'alternanza del dì e della notte, attraverso sequenze dal ritmo serrato, durante le quali si preparano gli eventi che condurranno al massacro dei civili, annullando tutti gli sforzi dell'avv. Lombardo, liberale di antica data alla guida dei comunali, di risolvere il contrasto con i cappelli (così vengono indicati nei titoli di coda, recuperando la definizione verghiana) del partito ducale senza fare ricorso alla violenza. Nel contempo però proprio i civili, preoccupati dalle chiare rivendicazioni poste sulle terre demaniali dal popolo, spingono l'amministratore inglese della famiglia Nelson, Thovez, a chiedere un intervento immediato e diretto di Garibaldi per prevenire qualsiasi disordine.
La situazione precipita improvvisamente, da un lato per l'atteggiamento violento assunto dalla Guardia Nazionale guidata dal notaio Cannata, borbonico e reazionario, che procede all'arresto dei contadini ritenuti più facinorosi, dall'altro per l'intervento sanguinario dei carbonari, veri e propri rivoluzionari giunti dalla montagna e guidati da Calogero Gasparazzo, il più violento di tutti. All'ennesima manifestazione popolana indetta per richiedere la liberazione degli uomini arrestati da Cannata, la furia del popolo, che ha già preso d'assalto le case, i magazzini, le cantine dei civili, si manifesta appieno. I popolani, spinti dall'esempio di Gasparazzo che non ha esitato un istante a sparare alla guardia del paese, Curchiurella, si armano di forconi e di roncole e lo seguono per le vie del paese alla ricerca dei cappelli con cui regolare i conti. Il primo in cui si imbattono è proprio il notaio Cannata, ucciso simbolicamente nel mucchio di letame in cui si è nascosto. Ogni pietà viene meno e a seguire, il figlio di Cannata, il campiere Leotta, e molti altri cittadini vengono fatti fuori. La svolta violenta impressa agli avvenimenti fa sì che l'avv. Lombardo perda autorevolezza nei confronti del popolo in rivolta, e che non riesca più, nonostante i suoi inviti alla pacificazione, a fermare il massacro.
Giunge da Catania la colonna militare guidata dal colonnello Poulet e dal tenente Castelli che, secondo le disposizioni che i militari hanno ricevuto, dovrebbe attaccare il paese in quanto ritenuto fedele ai Borbone. Su Bronte invece sventola il tricolore. Gasparazzo con i suoi uomini è pronto allo scontro, ma l'intervento dell'avv. Lombardo evita il peggio. Deluso Gasparazzo decide di ritirarsi nuovamente sulle montagne e così Poulet e Lombardo, che hanno combattuto insieme nel 1848, hanno modo di spiegarsi su quanto è successo. E' un dialogo cruciale in quanto nel confronto tra i due emerge la via per uscire da quella situazione, la soluzione che verrà invece negata dal successivo intervento di Bixio.
Indicando un corteo funebre che attraversa la strada, Lombardo spiega dolente che sono le vittime della rivoluzione. Poulet gli risponde «Vuol dire che qualcuno doveva pagare», mostrando di rendersi conto delle contraddizioni e delle difficoltà di quel particolare momento storico. Lombardo, allora pur rassicurato, gli spiega con amarezza: «Questo sì...debiti vecchi, vecchi di secoli... E così grandi, così incancreniti che forse non c'era altro modo... O se c'era il popolo non poteva vederlo»
Puolet lo rassicura: «Cercheremo di vederlo noi: nella pace...».
Nella scena successiva si scorge una carrozza attraversare la strada deserta. All'interno vi sono l'amministratore Thovez e un uomo in divisa garibaldina, Nino Bixio. Il generale manifesta un gesto di disprezzo velato nei confronti dell'inglese e sceso dalla carrozza prosegue da solo per il centro del paese, senza aspettare l'arrivo dei garibaldini, in marcia anche loro verso Bronte.
Bixio ha fretta, vuole risolvere presto la situazione per poter ripartire il prima possibile per ricongiungersi a Garibaldi, in vista dello sbarco in Calabria. Nelle strade deserte incontra Frajunco, il matto del paese, poi ad uno ad uno tutti i maggiorenti sopravissuti alla rivolta. Anche nei loro confronti Bixio ha parole di disprezzo, chiedendo conto della loro incapacità di far fronte da soli alla canaglia mentre questa metteva a soqquadro il paese. Il disgusto è rivolto anche ai contadini, per le loro misere condizioni di vita.
Bixio proclama lo stato d'assedio, richiede l'immediata consegna delle armi da fuoco e da taglio, scioglie il Municipio, stabilisce una commissione speciale per giudicare gli autori dei delitti, impone al paese una tassa di dieci onze all'ora, manda via Poulet da Bronte dopo averlo duramente reguardito per non aver punito subito i colpevoli, si mostra incurante della motivazioni che hanno scatenato la rivolta. Dà, inoltre, disposizioni ai suoi uomini perché intervengano anche negli altri paesi dove sono scoppiate sommosse, arresta i brontesi ritenuti responsabili dei disordini e li invia come prigionieri a Catania. Nel contempo, però, riunisce la commissione speciale per giudicare e condannare subito alla fucilazione almeno cinque capi della rivolta, avendo individuato in Lombardo uno di essi, perché ciò sia da monito a tutti gli altri. L'avvocato liberale, invitato da Poulet a lasciare in fretta il paese, si reca invece a parlare con il generale garibaldino, per spiegargli cosa è accaduto, ma Bixio senza stare neanche ad ascoltarlo lo fa arrestare.
Solamente in carcere, davanti ad un garibaldino incaricato della sua custodia e quasi parlando con se stesso, Lombardo ha modo di riflettere a voce alta sul fatto che per i siciliani la parola libertà ha un significato diverso che nel resto d'Italia, perché i siciliani «quando gridano libertà vogliono dire pane... Voi dite: vi portiamo la libertà e il contadino siciliano intende la giustizia, che sia venuto il momento di farsi giustizia» .



Comincia il processo. Sfilano maggiorenti e contadini, ma le deposizioni si contraddicono: ora accusano, ora scagionano i cinque imputati. Il presidente del collegio, il maggiore De Felice, chiede tempo per poter arrivare ad un giudizio sereno. Bixio, in partenza per Regalbuto per sedare anche lì dei disordini, gli concede un giorno solamente, perché Garibaldi non può aspettare che sia fatta giustizia a Bronte, né si può rimandare ancora lo sbarco in Calabria.
Prima che venga emessa la sentenza Lombardo, invitato a dire qualcosa in sua discolpa, pronuncia un discorso dall'alto senso civico, nel quale pur condannando l'ingiustizia di un giudizio ex abrupto, come ai tempi dei viceré, proclama di continuare a credere nell'Italia e nei valori per cui aveva combattuto fin dal '48.
All'alba dell'indomani una inconsueta cerimonia religiosa si svolge dentro la cappella del Collegio Capizzi. Lombardo, prima di essere fucilato, sposa Maria, la donna da lui amata e con lui convivente da anni. Subito dopo il matrimonio, i cinque uomini condannati, tra cui Frajunco, si muovono scortati in direzione del luogo dell'esecuzione.
Una gran folla assiste muta al loro passaggio, mentre Bixio a cavallo aspetta che vengano eseguiti gli ordini. Si fa fuoco sui condannati. Frajunco non viene colpito e invoca la grazia, ma Bixio non la concede e un colpo, sparatogli alla testa, lo fa stramazzare insieme con gli altri.
Il plotone si allontana. Sullo spiazzo desolato restano solo i cinque cadaveri dei giustiziati, al chiarore livido del giorno che avanza.
Restaurato nel 2001 grazie all'intervento del Centro sperimentale di Cinematografia-Cineteca nazionale, con l'aggiunta di 16 minuti inediti di pellicola, il film di Florestano Vancini provocò, alla sua prima uscita, nel 1972, un acceso dibattito.
A lungo infatti l'opera è stata messa in stretta correlazione con la situazione politica e con i fermenti rivoluzionari post-sessantottini, come se si trattasse di una lettura, attraverso la lente del film storico, del presente novecentesco del regista e dei suoi collaboratori, al punto che il personaggio del carbonaro Gasparazzo poté divenir il prototipo dell'operaio arrabbiato, protagonista di una striscia di fumetti.
Se quei fermenti e quelle tensioni poterono avere ovviamente riflessi sullo sguardo del regista, ciò non toglie che il film abbia una forte valenza storica, testimoniata anche dal nutrito apparato documentario di cui si dà ampio conto nei titoli di coda (tra le altre fonti, gli Atti del processo di Bronte del 1860 e gli Atti del processo di Catania del 1863; il testo di Benedetto Radice Nino Bixio a Bronte; buona parte della memorialistica garibaldina; l'epistolario di Nino Bixio, da cui sono tratte molte della battute e dei giudizi sui siciliani espressi dal generale garibaldino nel film).
A merito di Vancini va ascritto il desiderio di aprire sul grande schermo e presso buona parte dell'opinione pubblica italiana, quella dei non addetti ai lavori, un dibattito sulla rappresentazione ufficiale che fino a quel momento era stata offerta della spedizione dei Mille in Sicilia e del personaggio di Garibaldi, interpretata la prima come di un processo lineare, senza ombre, che aveva permesso di realizzare felicemente il sogno dell'unità nazionale; esaltato il secondo come un eroe senza macchia, capace di farsi carico e assumere su di sé il ruolo che la Storia gli aveva assegnato, quello di combattente per la libertà dei popoli oppressi.
Vancini infatti affonda la macchina da presa sulle contraddizioni e le ambiguità proprie di quel momento storico, che erano state sì lambite in ambito letterario da Verga ma non sciolte, per cercare di indagarne cause ed effetti, nel tentativo di restituirne in immagini la complessità.,
Se punto di partenza dell'interesse del regista per l'argomento era stata infatti proprio la novella Libertà di Verga, successivamente l'analisi condotta da Vancini e dei suoi collaboratori, fra cui Leonardo Sciascia, aveva avuto modo di allargare la prospettiva storica degli eventi e di inserirli in un contesto più articolato, dominato dallo scontro per le terre demaniali rivendicate dai contadini senza terra di cui si erano appropriate molti dei maggiorenti del paese e dalla contrastata cancellazione di molti degli usi civici legati allo sfruttamento delle terre comuni, primo fra tutti la raccolta di legna nei boschi.
Nel novero di queste rivendicazioni rientravano anche le terre demaniali che Ferdinando II di Borbone aveva costituito in Ducea, donandole a Orazio Nelson nel 1799, per ringraziarlo di avere abbattuto a colpi di cannone la Repubblica partenopea e che ancora, nell'agosto del 1860, erano rimaste nella disponibilità dei suoi eredi, nonostante i proclami di Garibaldi in senso contrario. La tutela degli interessi inglesi a Bronte viene quindi strettamente legata, nel film, alla durezza repressiva di Bixio, giunto nel paesino, all'indomani della strage, significativamente accompagnato in carrozza da Thovez.
Permangono, comunque, dei limiti storiografici, non ultimo il giudizio complessivo sul Risorgimento in Sicilia. Da quell'indagine condotta secondo i canoni dell'oggettività, come una cronaca appunto, scaturisce infatti non solo una netta condanna per le modalità con cui l'unità si è realizzata, ma anche il senso profondo del fallimento delle istanze risorgimentali, incarnato dall'atteggiamento puramente repressivo attribuito a Bixio, incapace di ascoltare le aspirazioni profonde di giustizia implicite nella rivolta dei brontesi e di correggere le storture nate proprio dalla mancata applicazione dei proclami dello stesso Garibaldi in merito alla quotizzazione delle terre demaniali.
Il conflitto sociale viene, inoltre, rappresentato da Vancini in modo schematico, polarizzato, secondo una «spaccatura orizzontale», che vede da una parte contadini affamati di terra e di giustizia, dall'altra maggiorenti e "civili" pronti a vestire i panni dei liberali antiborbonici per tutelare i loro interessi. Come ha sottolineato lo studioso Salvatore Lupo, invece, la spaccatura sociale e politica tra «ducali» e «comunisti» era di tipo «verticale», coinvolgendo nell'uno e nell'altro schieramento, esponenti dei "civili" in lotta tra di loro per la conquista del potere all'interno delle municipalità.
Tra questi lo stesso avv. Lombardo, assurto nel film al ruolo quasi di eroe tragico solitario, suo malgrado travolto dagli eventi che aveva contribuito in buona fede ad innescare, vittima dei suoi stessi ideali, schiacciato dal basso dai rivoluzionari alla Gasparazzo, dall'alto dai tutori dell'ordine alla Bixio. Destinato per questo a soccombere.
 

T.G.