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I Vicerè

I Vicerè: regia di Roberto Faenza
Soggetto*: Roberto Faenza
Sceneggiatura*: Roberto Faenza, Francesco Bruni, Filippo Gentili, Andrea Porporati
con la collaborazion*? di:Tullia Giardina, Renato Minore
consulenza storico letteraria: Antonio Di Grado, Sandro Bonella
Interpreti principali: Alessandro Preziosi (Consalvo), Lando Buzzanca (Principe Giacomo), Cristiana Capotondi (Teresa), Guido Caprino (Giovannino), Lucia Bosè (Donna Ferdinanda), Sebastiano Lo Monaco (Duca Gaspare), Franco Banciaroli (Conte Raimondo), Biagio Pelligra (Baldassarre), Pep Cruz (Don Blasco), Giselda Volodi (Lucrezia), Anna Marcello (Chiara),
Costumista: Milena Canonero
Scenografo: Francesco Frigerio
Direttore della Fotografia: Maurizio Calvesi
Montatore: Massimo Fiocchi
Musicista: Paolo Buonvino
Produttore: Elda Ferri
Produzione: Jean Vigo Italia, Rai Cinema, Institut del Cinema Català.
Anno: 2007
Durata: 120'
(*Tali specifiche sono quelle fornite dalla produzione del film, così come risultano dai titoli di coda dell'opera cinematografica e dal sito ufficiale del film stesso http://www.ivicere.it/ )

 

Ispirato liberamente al romanzo omonimo di Federico De Roberto, la vicenda narrata è quella della nobile famiglia Uzeda, dei Principi di Francalanza, discendente degli antichi Viceré che governavano la Sicilia durante la dominazione spagnola.
La saga familiare, portata sullo schermo da Roberto Faenza, è ambientata a Catania, in un arco temporale che va dal 1853 fino al 1918 (nell'opera narrativa invece gli eventi considerati si fermano alle elezioni politiche del 1882). Snodi storici cruciali sono la spedizione dei Mille, la conseguente caduta del potere borbonico, l'adesione al nuovo regno unitario e, a seguire, la presa di Roma e le prime elezioni con l'allargamento della base elettorale, nel 1882, che segneranno l'esordio in politica del protagonista del film, il principe Consalvo. Uno dei temi di fondo dell'opera cinematografica è infatti la capacità degli Uzeda di attraversare tutti i cambiamenti rimanendo uguali a se stessi, riuscendo cioè a conservare, anche nel nuovo stato liberale, di cui si faranno presto entusiasti sostenitori, i privilegi e il potere che avevano anche da borbonici conservatori e reazionari.
La storia è raccontata dal punto di vista unificante di Consalvo, discendente ultimo della «razza dei Vicerè», il loro erede più degno, che fa tesoro di tutto ciò che ha visto accadere attorno a sé, soprattutto del modo di agire dei suoi familiari. Egli cerca di sottrarsi al destino di follia che sembra accompagnarli, perché quella «razza» è attraversata al proprio interno da segni profondi di decadenza e di degenerazione, che in vario modo si manifestano in tutti i personaggi che agiscono sullo schermo. Tutti sono infatti vittime di manie e di ossessioni, simboleggiate al loro livello massimo di espressione da quello che viene definito, riprendendo le parole di De Roberto, il «prodotto più fresco» della famiglia Uzeda, l'aborto informe e mostruoso partorito da Chiara, alla ricerca parossistica della maternità, e conservato, con grande cura, in una boccia sotto spirito.
Dagli avi i vari componenti della famiglia, dilaniati fra loro da atroci contrasti, sordi rancori, odi viscerali, hanno comunque ereditato anche la prepotenza, l'arroganza, la volontà di dominio, esercitando spregiudicatamente e con cinismo il loro potere economico, sociale, politico su tutti quanti hanno la ventura di imbattersi in loro.
Sono molti i personaggi che affollano la scena: oltre a Consalvo, la sorella Teresa, la madre Margherita, gli zii Raimondo, Chiara, Lucrezia, Ludovico, i prozii Don Blasco, Donna Lucrezia, il Duca Gaspare. Su tutti domina il principe Giacomo, padre di Consalvo, uomo avido, superstizioso, tirannico, capace di manipolare gli altri per il proprio vantaggio personale. Accanto a loro: la duchessa Radalì con i figli, Michele e Giovannino; il liberale Benedetto Giulente, marito di Lucrezia, prima volontario garibaldino, poi sindaco di Catania, destinato infine a raccogliere l'eredità politica del Duca Gaspare ma poi tradito da questi in favore di Consalvo; il marchese Federico di Villardita, marito di Chiara; Matilde, moglie tradita di Raimondo e l'amante di questi, Isabella; Baldassarre, il fedele maggiordomo di casa, fratello illegittimo del principe Giacomo, l'unico alla fine a mostrare il suo dissenso nei confronti di Consalvo, pur essendo stato a lui legato da vero affetto.
Il film si apre con un lunghissimo flash back, introdotto da una voce fuori campo, quella di Consalvo anziano, attraverso cui il protagonista ripercorre tutte le vicende della sua famiglia, a partire dal rapporto conflittuale col padre, il principe Giacomo, divenuto il capofamiglia dopo la morte della madre, la principessa Teresa Risà Uzeda. Proprio il sontuoso funerale della principessa-nonna e la lettura successiva del suo testamento, nel 1853, sono i motori iniziali dell'intreccio narrativo, a seguito dei quali Giacomo avvia una complessa macchinazione per privare il fratello Raimondo della legittima eredità, e contemporaneamente per tiranneggiare tutta quanta la famiglia, piegando i figli e la moglie alla propria esclusiva volontà. Consalvo, giovinetto, viene inviato a studiare, con il cugino Giovannino, presso il Monastero dei Benedettini, dal quale uscirà qualche anno dopo proprio grazie all'arrivo dei garibaldini in città.
L'annuncio dell'avanzata di Garibaldi in Sicilia arriva improvviso al Monastero, determinando il fuggi fuggi dei monaci dal convento. Sullo schermo, oltre all'indicazione 1860, appaiono alcuni garibaldini a cavallo, impegnati a combattere per le vie di Catania. E' questa l'occasione per gli Uzeda di riposizionarsi immediatamente a fianco dei vincitori. Don Blasco, infatti, monaco benedettino reazionario fa prestissimo a divenire il più acceso manifestante antiborbonico, mentre il Duca Gaspare, fino a quel momento opportunisticamente oscillante tra la fedeltà ai Borbone e gli ammiccamenti agli esponenti liberali, si accredita definitivamente come maggiore rappresentante dello schieramento liberale a Catania. Verrà infatti presto eletto, alle prime votazioni del nuovo Regno d'Italia, deputato al Parlamento di Torino, iniziando così una carriera politica finalizzata solo al conseguimento di personali benefici economici.
Anche il principe Giacomo, pur disprezzando nell'intimo i nuovi governanti, si adegua velocemente: fa esporre sulla facciata del palazzo avito uno striscione inneggiante alla libertà, ma alla zia Ferdinanda, l'unica che fino alla fine conserverà una fede borbonica, spiega disincantato che «libertà è una parola che non significa niente ma accontenta tutti. Quando comandava il re noi eravamo amici del re, ora che governano i pezzenti bisogna essere amici dei pezzenti». E alla donna che lo accusa di essere un «voltagabbana», cinicamente spiega che «libertà significa anche che ora che l'Italia è fatta, dobbiamo farci gli affari nostri», parafrasando la più celebre frase di Massimo D'Azeglio.
La morte della principessa Margherita, madre di Consalvo, provocata dal marito stesso (che immediatamente dopo sposa in seconde nozze la cugina Graziella), acuisce il conflitto tra il giovane e il padre al punto tale da spingerlo alla rottura, anche perché Giacomo fortemente superstizioso crede che il figlio gli porti sventura. Questi, dal canto suo, comincia a dissipare le ricchezze familiari dandosi ai bagordi con Giovannino, fino a commettere un violento gesto di sopraffazione ai danni di una giovane popolana, Concetta, in seguito al quale i fratelli della ragazza lo feriscono gravemente per vendetta. Ripresosi dal ferimento Consalvo, ospitato dalla zia Ferdinanda, comincia a modificare i propri comportamenti, mentre il padre Giacomo acconsente alla sua partenza per un lungo viaggio, in compagnia del fedele Baldassarre. Teresa, invece, viene inviata fuori città, in collegio, per completare la sua educazione.
Trascorrono alcuni anni. E' il 1872, Teresa torna dal collegio, accolta da tutti i parenti, con l'eccezione di Consalvo, ancora in viaggio. La ragazza ha modo di rincontrare i cugini Michele e Giovannino, e di innamorarsi, ricambiata, di quest'ultimo. I loro rispettivi genitori hanno però deciso diversamente: a sposare Teresa dovrà essere Michele, in qualità di primogenito. L'illusione di Teresa dura pertanto poco, mentre Consalvo, raggiunto a Roma da una lettera della sorella in cui entusiasticamente lo informa che ama Giovannino, decide che è tempo di tornare a casa. Durante la permanenza a Roma, peraltro, ha avuto modo di incontrare lo zio Duca Gaspare, deputato nazionale, che gli ha illustrato la sua concezione della politica come puro vantaggio personale e che gli ha anche comunicato che intende da quel momento in poi appoggiare la Sinistra storica, visto che le divisioni tra Destra e Sinistra non contano nulla, e che quello che conta è solo ed unicamente la gestione del potere.
Consalvo dunque torna a Catania, ma la pace in famiglia dura ben poco. Il principe Giacomo, già con segni evidenti di un tumore alla testa, di fatto costringe Teresa a sacrificare il suo amore per Giovannino e a sposare Michele, motivo per cui Baldassarre si licenzia, non riuscendo a sopportare la violenza psicologica usata sulla giovane donna.
Durante i festeggiamenti per lo sposalizio, tuttavia, Giovannino si uccide, lasciando sgomento soprattutto Consalvo, che matura definitivamente la scelta di entrare in politica, occupando il seggio che in precedenza era stato dello zio Duca e che fino a quel momento era stato promesso a Giulente. Muore pure il principe Giacomo, non senza aver prima diseredato il figlio. Consalvo, però, approfitta di questa condizione in quanto può così accreditarsi come autenticamente democratico, avendo rinunciato ai privilegi della sua classe sociale, e professare verosimilmente gli ideali di uguaglianza fra tutti gli uomini. Ad aiutarlo nella campagna elettorale per le elezioni è Baldassarre, che lo crede sincero nella proclamazione del suo programma politico.
Giunge la vigilia delle elezioni. Nel vecchio Monastero dei Benedettini viene organizzato il comizio conclusivo della campagna elettorale. Tutta la famiglia accorre per ascoltare Consalvo, insieme con una folla di sostenitori, curiosi di ascoltare il giovane alla sua prima uscita pubblica. Il discorso di Consalvo è tutto e il contrario di tutto. In un'ossimorica affabulazione verbale, inneggia a Garibaldi, ricordandone la presenza a Catania proprio al Monastero, a Vittorio Emanuele, a Machiavelli, Bacone, Proudhon, lanciandosi infine in un evviva rivolto contemporaneamente al re, alla rivoluzione, al papa.
Dopo il suo comizio, Consalvo si reca a trovare l'anziana zia Donna Ferdinanda, che ancora auspica il ritorno dei Borbone. A lei rivela il suo vero volto, spiegandole che i meccanismi della storia si ripetono monotonamente e che, così come avevano fatto gli Uzeda di un tempo, i viceré, bisogna sapersi adattare alle mutate condizioni politiche, dato che l'unica cosa che conta è conquistare il potere, per non soccombere e non essere schiacciati mai.
Il successo elettorale arride a Consalvo, che viene portato in trionfo dai suoi sostenitori. A voltargli le spalle, non solo metaforicamente, il solo Baldassarre, l'unico che sembra aver compreso perfettamente cosa si celi dietro la sua maschera demagogica.
Il lungo flash back ha termine: il film si chiude con un'ultima sequenza in cui Consalvo, ormai settantenne, giunge in automobile a Montecitorio. Siede da solo sugli scranni del Parlamento, mentre la sua voce fuoricampo fa il bilancio dell'attività politica dell'intera classe dirigente del paese in quei lunghi anni che lo separano dal suo esordio come deputato.
Il bilancio è negativo, segnato dalle furberie, dalle divisioni, dai ladrocini dei potenti, e così Consalvo può lapidariamente concludere con la constatazione che era stata sì fatta l'Italia, ma chissà quando sarebbero stati fatti gli Italiani. 


T.G.