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Il Gattopardo

Il Gattopardo

Il Gattopardo: regia di Luchino Visconti
Produttore: Goffredo Lombardo (Titanus)
Soggetto: dal romanzo Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa
Sceneggiatura: Suso Cecchi D'Amico, Pasquale Festa Campanile, Enrico Mediala, Massimo Franciosa, Luchino Visconti.
Interpreti principali: Burt Lancaster (Principe di Salina), Claudia Cardinale (Angelica), Alain Delon (principe Tancredi Falconeri), Paolo Stoppa (don Calogero Sedara), Rina Morelli (principessa Maria Stella Salina), Romolo Valli (Padre Pirrone), Pierre Clémenti (Francesco Paolo), Lucilla Morlacchi (Concetta), Mario Girotti (Conte Cavriaghi), Ida Galli (Carolina), Ottavia Piccolo (Caterina), Serge Reggiani (don Ciccio Tumeo), Lesle French (Chevallay), Ivo Garrasi (col. Pallavicini)
Fotografia: Giuseppe Rotunno
Musica: Nino Rota, Giuseppe Verdi (valzer inedito)
Scenografia: Mario Garbuglia, Giorgio Rotunno
Costumi: Pietro Tosi
Montaggio: Mario Serandrei
Anno: 1963
Durata: 185 minuti



Tratto dal romanzo omonimo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, il film Il Gattopardo diretto da Luchino Visconti, a giudizio di molti critici, costituisce uno dei rari e felici esempi di opera cinematografica che nel risultato finale appare superiore al testo narrativo a cui è ispirato.
La magistrale capacità di Luchino Visconti di ricostruire gli ambienti e le atmosfere giuste per la collocazione spaziale e temporale dei suoi film, di creare grande sintesi espressiva, pur nella cura minuziosa del dettaglio, hanno fatto sì che, anche in questo caso, il bellissimo affresco da lui tratteggiato, relativo alla Sicilia a cavallo tra il regno borbonico e il nuovo regno sabaudo, restasse impresso nella memoria e nel ricordo di molti spettatori, proiettando però oltre lo schermo, un sovrasenso storiografico destinato a sopravvivere a lungo, come se quelle immagini, quelle parole, quella vicenda costituissero un'importante chiave di accesso per comprendere sul piano storico, sociale, economico quella società e quel mondo.
In questo modo si è sviluppata e alimentata, in un forte processo mitopoietico innescato suo malgrado dal film stesso, una sorta di vulgata storica, quella di una Sicilia di Gattopardi, fondata sul paradigma del tempo immobile, dell'arretratezza atavica, del trasformismo tout court più persuasiva e pervasiva rispetto alla storiografia accreditata dagli storici di professione, che ha letto invece le tensioni e i cambiamenti della Sicilia di quegli anni come un fenomeno tutto sette-ottocentesco, provocato da  processi di modernizzazione, sia pure "difficile", e di trasformazione dell'assetto socio-economico dell'isola, comuni al resto dei paesi dell'Europa occidentale.
Se a livello ideologico e storico il regista fa proprio esplicitamente il giudizio di Gramsci sul Risorgimento come di una rivoluzione mancata, ad un livello più profondo, invece, come è stato più volte notato, assume, in una triangolazione complessa, il punto di vista dei due principi, quello di Salina e quello di Lampedusa, e ne fa proprio il sentimento, tutto novecentesco, di decadenza, di morte fisica ed esistenziale, che non è di un uomo solo, ma di un'intera classe sociale, di quell'aristocrazia alla quale tutti e tre appartengono, che finisce per  contraddire dall'interno proprio la presunta immobilità di quella società, in quanto non appare più vero, alla fine del film, che bisogna che tutto cambi affinché tutto resti com'è, perché di fatto i cambiamenti ci sono stati e le dinamiche innescate non possono essere più fermate, a prescindere dalla valutazione negativa che di ciò i due autori, Tomasi di Lampedusa e Luchino Visconti, ne danno.
Dall'iniziale stacco oggettivo della macchina da presa che piano piano si avvicina al cancello della villa dei Salina fino a penetrarvi dall'esterno da un balcone aperto, si passa infatti all'assunzione di un punto di vista soggettivo, quello del principe Fabrizio, per conservarlo, come è stato detto da alcuni acuti osservatori, almeno fino alla lunga sequenza del ballo, quando nuovamente lo sguardo del regista torna lentamente ad  «oggettivarsi» nei «riti collettivi» di quel mondo e di quella società che a fine serata, all'alba, appare sì appagata di se stessa, ma disfatta. L'oggettivazione appare però pienamente compiuta, caricata di una forte concretezza visuale che scioglie i simbolismi nel momento stesso in cui li crea, solo nella sequenza finale, in cui con montaggio parallelo Visconti segue due destini diversi: quello del gattopardo Fabrizio, ripreso di spalle, che si avvia a piedi da solo verso un vicolo buio, nel silenzio rotto solo dal suono di una campanella che annuncia il passaggio di un prete che reca gli ultimi conforti spirituali ad un moribondo; quello delle "iene" e degli "sciacalli" che ne prenderanno il posto, i Sedara, le Angeliche, i Tancredi che, ripresi, invece, in maniera frontale, si dirigono in carrozza nella direzione opposta,  verso il chiarore dell'alba di un mondo che sta per nascere sulle ceneri dell'altro, salutati dalla scarica dei fucili del plotone di militari che giustiziato i soldati  disertori dell'esercito regolare per seguire Garibaldi in Aspromonte. La rivoluzione è così finita senza essere mai cominciata.
La morte costituisce in realtà la vera cifra stilista di tutto quanto il film che, peraltro, era iniziato già con una morte, quella di un anonimo soldato borbonico rinvenuto cadavere nel giardino della villa del principe Fabrizio Corbera di Salina, uomo ricco, colto, affascinante, dedito alla studio dell'astronomia, mentre è riunito con la sua numerosa famiglia  a recitare il rosario, sotto la guida spirituale di Padre Pirrone, il gesuita a cui è demandata la cura di quelle anime.

Il Gattopardo - locandina

 



Da quel rinvenimento prende l'avvio la vicenda, che dal punto di vista temporale, a differenza del romanzo, si concentra nell'arco ristretto di due anni: dallo sbarco di Garibaldi in Sicilia nel maggio 1860, con epicentro nella battaglia di Palermo, ai giorni immediatamente successivi al ferimento dell'eroe nizzardo in Aspromonte.   
La notizia dell'avvenuto sbarco giunge infatti al principe, per mezzo stampa, nello stesso momento del rinvenimento del cadavere. All'iniziale sbigottimento, subentra in lui un'altra consapevolezza, quella suggeritagli dall'amato nipote Tancredi, principe di Falconeri, che si appresta a unirsi ai garibaldini, e cioè che «se vogliamo che tutto rimanga com'è bisogna che tutto cambi».
Tancredi, giovane bellissimo e affascinante, il cui patrimonio però è stato dissipato dagli avi, partecipa pertanto alla battaglia combattuta per le vie di Palermo, di cui viene data una lunga descrizione, rimanendo leggermente ferito. Questo è sufficiente per fargli acquistare meriti sul campo e crediti liberali, da spendere poi al momento opportuno. Torna a far visita allo zio in compagnia di altri due garibaldini, indossando la camicia rossa dei volontari, per presto abbandonarla e rivestire i panni del signore quando accompagna tutta la famiglia Salina nella residenza di campagna, Donnafugata, dove, come tutti gli anni, nonostante gli sconvolgimenti in corso, si recano al gran completo a trascorrere l'estate. A Donnafugata sono pochi i segni esteriori del cambiamento, ad eccezione di quello sostanziale della nomina a sindaco di don Calogero Sedara, un uomo senza scrupoli, di umili origini divenuto in breve tempo ricchissimo, animatore di congiure segrete contro i Borbone e lanciato nella vita politica per garantirsene i vantaggi. A questo scopo utilizza anche la bellissima figlia Angelica, grazie alla quale potrà imparentarsi con la famiglia Salina. Angelica infatti diventa oggetto di attenzione da parte di Tancredi, sensibile anche al fascino delle sue ricchezze, fino al punto da volerla sposare, nonostante in precedenza avesse manifestato un certo interesse  per Concetta, sua cugina,  figlia del principe Fabrizio.
Giunge il giorno delle votazioni per il plebiscito, nell'ottobre del 1860, che deve ratificare per volontà popolare l'annessione dell'isola al Piemonte. A Donnafugata le votazioni sono gestite proprio da Sedara nella sua qualità di sindaco. Nonostante il suo personale dissenso, il principe si reca platealmente a votare , condizionando così le scelte dei maggiorenti del paese. Il risultato uscito dalle urne nel piccolo centro siciliano vede l'unanimità assoluta a favore dell'annessione. A denunciare privatamente i brogli al principe è don Ciccio Tumeo, organista della Chiesa madre e suo compagno di caccia, il quale lamenta che il suo no sia stato cancellato, mentre lucidamente profetizza l'ascesa politica dello stesso Sedara, giudicato con assoluto disprezzo. Il principe, pur essendo intimamente d'accordo con lui, con lucido disincanto non esita a dare il suo consenso alle nozze del nipote Tancredi con la bella Angelica, che gli porterà in dote le sostanze necessarie a rinsaldare il traballante casato dei Falconeri, in quanto vede in quella unione l'unica possibilità di sopravvivenza del proprio ceto in un mondo in cui i Gattopardi, i nobili, sono destinati altrimenti a soccombere per mano delle iene e degli sciacalli, degli arrivisti borghesi in lotta per la conquista del potere economico e politico.        
Ma anche Tancredi è un piccolo sciacallo, in quanto non esita ad arruolarsi nell'esercito piemontese e in questa veste torna nuovamente a Donnafugata, vestito dell'uniforme di ufficiale. Mentre Tancredi e Angelica vivono il loro fidanzamento, il principe Fabrizio riceve la visita di un inviato regio da Torino, il cavaliere Chevallay di Monterzuolo, giunto in quel remoto angolo della Sicilia per sondare la sua eventuale disponibilità ad accettare la nomina a senatore del Regno. Il principe declina l'offerta, ma nel farlo tenta di spiegare il perché della sua disillusione, di quel diniego con l'impossibilità per i siciliani, che si credono degli dei, di cambiare, di svegliarsi dal loro lungo sonno secolare e con la convinzione che da quel nuovo regno, comunque, non verrà nulla di buono per la Sicilia, colonia da sempre dei suoi dominatori. Chavalley quindi riparte in carrozza senza essere riuscito a convincerlo.
Si concludono così le prime due parti del film, in cui gli eventi storici presentati, filtrati sempre attraverso lo sguardo del principe, corrono fino all'autunno del 1860 e si apre l'ultima, ambientata invece due anni dopo, alla fine dell'estate del 1862. Grazie ad un procedimento ellittico che sutura tutti i tagli temporali sul piano spaziale, la lunga sequenza del ballo viene posta in assoluta continuità visiva con quelli, come se non vi fosse stata interruzione temporale alcuna.
Dopo un breve sguardo alla vita dura dei contadini che lavorano faticosamente sotto il sole su un campo riarso, con una dissolvenza incrociata, Visconti introduce, per contrasto, i saloni elegantissimi del palazzo Pantaleo, dove si svolge una festa a cui tutta la nobiltà è stata invitata. Uniche eccezioni il drappello di ufficiali che accompagnano il col. Pallavicini di ritorno dall'Aspromonte e don Calogero Sedara con Angelica, ammessa per la prima volta tra l'alta società come fidanzata di Tancredi per intercessione della principessa di Salina. Angelica fa così il suo ingresso nell'alta società, suscitando l'ammirazione di tutti per la sua bellezza. Il principe Fabrizio si aggira per tutte le sale, osserva con malinconico distacco i segnali di decadenza anche fisica della sua classe sociale, si sofferma ad osservare il quadro La morte del giusto di Greuze, e infine accetta l'invito a ballare fattogli da Angelica, il cui fascino sembra sedurre anche lui. E' lo scatto del leone morente, del gattopardo che si erge con tutta la sua possanza per un'ultima grande impresa.
Dopo il ballo, finita la serata, Fabrizio si avvia da solo verso il suo destino crepuscolare.

  T.G.