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AGOSTINO BERTANI (Milano, 19 ottobre 1812 - Roma, 30 aprile 1886)

Agostino Bertani

«Come manteneste voi le promesse del 1860? Voi ci avevate promesso che il vostro sistema doveva soffocare il germe della discordia nel suo nascere; e la discordia crebbe fino al punto da dover giustificare le vostre forti repressioni tacciando di barbarie quella nobile isola, cui dobbiamo due mirabili iniziative dell'unità italiana. Oh! Signori, voi così ci condurreste a gridare: Viva la barbarie siciliana che fa l'Italia!» (clicca qui per leggere l'opera Agostino Bertani e i suoi tempi di Jessie White Mario, da cui è tratto questo discorso). Era il 10 dicembre 1863. Il j'accuse di Agostino Bertani contro i metodi di polizia applicati in Sicilia dal governo Minghetti si levava stentoreo nell'aula del Parlamento italiano a Torino, suggellato dalle plateali dimissioni sue e di venti deputati dell'Estrema sinistra. Che quel milanese avrebbe dato di che pensare, cercando di «suscitar torbidi e creare difficoltà in tutte le parti d'Italia» lo aveva già previsto Cavour prima di morire, dipingendolo come «il più pericoloso» tra i mazziniani amici di Garibaldi.
Medico brillante, dall'invidiabile pedigree cospirativo - la madre partecipò alle cospirazioni antiaustriache del 1821 - Agostino Bertani fu protagonista delle rivoluzioni ottocentesche e delle fasi cruciali del processo di costruzione dello Stato italiano, conciliando l'attività scientifica con l'azione rivoluzionaria. Nel 1848 diresse l'ospedale di S. Ambrogio a Milano nei moti di marzo e, tornati gli austriaci nella città lombarda,  si spostò dal Piemonte alla Liguria alla Toscana, per giungere infine a Roma nel giugno 1849, mettendosi a servizio della Repubblica nel momento della sua agonia, attraverso l'opera nell'Ospedale Trinità dei Pellegrini, dove rimase anche durante l'occupazione francese. L'essersi mosso ufficialmente solo nei panni del medico lo rese rispettabile agli occhi delle autorità che lo risparmiarono da ogni persecuzione politica e, quando nel 1850 si trasferì a Genova, ottenne la cittadinanza sarda e poté continuare a mettere a punto indisturbato i suoi piani sovversivi, allacciando importanti rapporti con gli esuli democratici. Se prima del 1848 era stato particolarmente vicino a Carlo Cattaneo, negli anni successivi si avvicinò a Mazzini, convinto assertore della necessità di un'azione unitaria delle forze italiane contro gli austriaci. Ma presto si distaccò anche dal Maestro: la frequenza degli ambienti genovesi lo aveva ormai persuaso della necessità di inserire l'azione democratica, per quanto autonoma, nel quadro degli sviluppi diplomatici e militari avviati dal governo piemontese. Prestare attenzione alla politica estera non significava però abdicare al proprio impegno diretto per la realizzazione della causa democratica: la vocazione militante trovò sfogo nel 1859, quando insieme a Medici e a Bixio, organizzò a Genova un gruppo di giovani volontari e ad aprile accettò l'offerta fattagli da Garibaldi di dirigere i servizi sanitari dei Cacciatori delle Alpi. Dopo la seconda guerra di indipendenza entrò nelle file dei repubblicani come deputato al parlamento di Torino e fu tra coloro che convinsero Garibaldi a porsi a capo di una spedizione in Sicilia. Sua era la lettera con cui il 7 aprile Francesco Crispi, accompagnato da Nino Bixio, si presentò al Generale. Sua l'interpellanza alla Camera sullo stato dell'insurrezione in Sicilia e sulla posizione che il governo avrebbe voluto prendere. Così si rivolgeva a Cavour: «Prego il signor ministro a voler credere e tenere per dichiarazione d'uomo d'onore che io non ebbi, non ho, non avrò mai altro partito politico in fuori di quello che propugni coi mezzi più dignitosi della nazione e conduca vittoria, il più prontamente possibile, la causa che è comune a tutti che qui sediamo: far l'Italia degli Italiani; e quindi farla con qualsiasi sacrificio».
Casa Bertani era diventata in quei giorni il centro di reclutamento dei volontari per la spedizione e quando il 5 maggio partì il deputato non seguì i suoi compagni ma rimase a Genova a raccogliere ulteriori forze in sostegno ai garibaldini. A questo scopo e ostinato a mantenere un certo margine di autonomia rispetto al governo di Torino, il 7 maggio istituì la Cassa di soccorso a Garibaldi, strutturata in diverse diramazioni locali col nome di Comitati di provvedimento, e in aperta polemica con la Società nazionale di La Farina.
Ma neanche con Garibaldi Bertani riuscì a mantenere rapporti del tutto sereni, soprattutto quando il nizzardo mise da parte il progetto, che aveva condiviso con il democratico milanese, di affiancare allo sbarco siciliani alcune operazioni di guerra sul continente. Incassato il rifiuto di Medici, Cosenz e Sacchi, di guidare una seconda spedizione nell'Italia centrale Agostino Bertani non desistette dai propri propositi e sembrò strappare il consenso del governo di Torino, che lo autorizzò a raccogliere dei volontari nel Golfo degli Aranci in Sardegna. Ma presto giunse il Generale che portò con sé in Sicilia  i nuovi arruolati, costringendo l'amico a raggiungerlo sull'isola, proprio nel momento in cui si preparava a lasciarla per le Calabrie. Persa ogni speranza di poter realizzare il proprio progetto il democratico guidò due brigate a Tropea e, aggregatosi alla divisione Turr, continuò la campagna verso Nord con le altre truppe garibaldine.
Insieme a Crispi si oppose strenuamente all'idea di un'immediata annessione dell'isola e, instaurato il governo garibaldino a Napoli, l'8 settembre 1860 fu nominato Segretario Generale della Dittatura delle Due Sicilie. Per l'ennesima volta dimostrò un certo protagonismo interpretando liberamente la propria carica come strumento per un'azione di riforma e causando non pochi conflitti di competenza con i vari ministeri. Si prestò così ad una lunga serie di accuse che vennero rivolte pure alla sua gestione della Cassa di soccorso e dalle quali dovette difendersi a suon di libelli e querele per tutto il primo decennio postunitario.
Sorprese nell'ottobre 1860 un suo intervento alla Camera in cui mostrò un atteggiamento conciliativo nei confronti dei moderati che in una lettera a Crispi avrebbe giustificato come l'unica risposta ad una debolezza di fatto delle correnti democratiche. Negli anni della sua attività parlamentare sposò diverse cause a sfondo sociale, per l'abolizione della tassa sul macinato, per il suffragio universale, per l'istruzione e l'igiene pubblica e si destreggiò in un difficile equilibrismo tra spirito rivoluzionario e riformismo costituzionale, che provocò però il suo isolamento. Visse i suoi ultimi anni a Roma, dove morì il 30 aprile 1886.

C.M.P.

 Principale bibliografia di riferimento

- Mario J. W. , Agostino Bertani e i suoi tempi, 3 voll., Tipografia di G. Barbera, Firenze 1888.