Da Episodio della guerra liberatrice meridionale del 1860, di N. Fabrizi

«Negati sempre per cuore e per principii alla ingiustizia, da qualunque lato essa venga, noi rigettiamo ora le sue funeste rappresaglie a chi avea l’alta missione di tutelare, più dei nostri interessi, la nostra dignità; né vale celare che l’ingiuriosa dimenticanza usata contro quella parte della Brigata Fabrizj, Divisione Medici, rimasta in Sicilia, si fa più sensibile per provenire da chi dovea rappresentare Garibaldi, succedendogli nel Comando in Capo dell’Esercito meridionale.
Se la coscienza frattanto di aver fatto il proprio dovere, l’abnegazione a ogni sorta di ricompense e di onori, il disinteresse col quale in maggior numero tornammo ai nostri usi privati, e il sentimento di giustizia comune ai nostri Compagni d’armi rimasti in servizio, ci fa ricorrere tranquilli alla pubblica opinione; noi non possiamo lasciare altresì di reclamare, come intanto che tutti i Capi di corpo furono richiesti dai loro RAPPORTI sulla Campagna del Mezzogiorno, il nostro non figuri di modo alcuno ricordato.
A protestarci quindi di una immeritata e inesplicabile trascuranza, che noi sappiamo non  potersi incolpare a poco affetto del nostro Comandante Generale Fabrizj, noi richiamiamo l’attenzione di ciascuno sopra quella parte della guerra del Mezzogiorno che ci riguarda; dopo di ché, accetteremo l’ingiustizia, non subita nella umiliante esclusione del silenzio.
Noi ventuno, sbarcammo in Sicilia, movendo da Malta in due convogli, il 1 e 2 giugno,  i primi dopo la spedizione di Garibaldi, quando la flotta borbonica era disposta tuttavia in crociera.
Taluni emigrati in Malta, per mezzo di chi li rappresentava, facevan parte delle combinazioni di Genova, e avean tenuto Malta per punto strategico morale e materiale.
Se la lentezza, chi sa artificiosa, al di dentro per riceverlo, poi le difficoltà e gli ostacoli governativi insorti a Malta, al trasporto di un convoglio d’armi e munizioni, non avevan luogo, si arrivava tra i primi in Sicilia, forse contemporaneamente alla spedizione di Garibaldi.
Gli elementi della nostra spedizione accoppiavano al più commendevole carattere politico, i distintivi migliori della intelligenza, della onestà e della rivoluzione.
Il convoglio di materiali mentovato, per mettersi in corso, dovette subire, a gran rischio di quelli che lo conducevano, uno stranissimo viaggio per Africa, sprovveduto di ogni regolarità di patente , e cogli individui privi di ogni garenzia personale.
Cominciò da Modica la fase di una vita militare fornita in pochissimi giorni. Ott’ore al giorno di maneggio d’armi, poi marcie penose ne’ calori dell’està per luoghi intrattabili, stenti di cammino, e durezze di quartiere, sempre addolcite, e se si vuole inavvertite stanchezza e privazioni, per la giustizia del comando, per la coscienza della posizione, e per l’ammirabile volenterosità dei singoli.
E a ricordarsi l’impressione politica, e l’alzamento dello spirito prodotto da noi sulle popolazioni dell’interno, fin’allora sotto l’intrigo de’reazionari; come pure l’estraordinario trasporto e le vive simpatie ch’eccitammo in Catania; nonché il sentimento favorevole che c’ispiravano i nostri volontarii de’ paesi poco prima lasciati, che appena a noi riuniti assumevano l’aria di vecchi soldati, e che quasi facevano mostra di sé stessi ai nuovi.
Senza i riguardi che il nostro Comandante, volle usare al reclutamento già iniziato in Catania dal comandante militare di quella provincia, il Coll. Poulet, e l’economia di fucili che i nostri compagni, i Messinesi raccomandavano pei volontarj, che dovevano attenderci nella Provincia loro, e di altri impegni che colla medesima erano già corsi, le file si sarebbero accresciute a segno, per la offerta continua di volontari della città e dei dintorni, che ci saremmo tolti dalla ben dura condizione di marciare verso il nemico, per cammini i più malagevoli, con un convoglio affidato al servizio di pochi di scorta, che poi immediatamente arrivati alla provincia di Messina, sciolti dal convoglio operammo, come se fossimo un’intera Brigata.
Ed è grato ricordo quello, dei nostri compagni della spedizione, già reclute a Modica, poscia istruttori a Catania, tutti sempre in tale disinvolto contegno militare, che interessava le popolazioni in sommo grado, le quali si illudevano a crederli vecchi soldati di fila venuti dal Continente.
Ancora pochi giorni, e i nostri cari compagni, già battezzati dalla sterilità dell’istruzione e dalla difficoltà delle marce, appena soldati per la divisa, istrutti, faticatori, andavano per cresimarsi col fuoco, volenterosi, pronti alla guerra non meno degli altri, né meno ardita la figura, né meno ordinati, né meno sicuri della vittoria dei soldati stessi apprezzati per scelti, venuti dal Continente, e che vedemmo per la prima volta a Barcellona e Merì.
Ancora poche ore, e il nimico ci avrebbe assalito. E con viva emozione che si presenta alla memoria, l’ardore e la disciplina dei nostri volontari alla di lui vista, impazienti di partecipare agli attacchi parziali che avevano luogo sulla dritta, mentre tenevamo fermo alla sinistra, come ingiungeva il dovere; momento di soddisfazione pel Capo, cui tutti ubbidivamo [se può esservi per lui soddisfazione più alta di quella rappresentata dalla coscienza del proprio nome] momento di soddisfazione per noi, che avevamo, osiam dirlo, infuso in tutti i nuovi compagni, i sentimenti e i principii della nostra peregrinazione.
Cadeva appena il sole, e giungeva l’ordine di correre a dare aiuto alla prima Brigata impegnata col nemico su Corriolo; e con vivace prontezza li vedemmo muovere , procedere animandosi all’incontro dei feriti che si trasportavano alle ambulanze, nella fede di andarli a vendicare.
Fu là, sul terreno, ove il combattimento era allora appena cessato, che ricevemmo i nuovi ordini di dirigerci a Santa Lucia, a doverne difendere il punto a tutto costo.
Ardenti e subordinati a Merì, più ardenti e subordinati a Santa Lucia, nella famosa giornata di Milazzo, anco una volta ci cresimò la disciplina anziché il fuoco; e fummo solo contenti di noi nell’assicurazione che ci dava il nostro Capo, di aver fatto il nostro dovere, e ammoniti pel severo rimprovero a quei pochi, che si erano dimostrati meno rassegnati alla sua legge, e si dolevano di esserci negato anco una volta il combattere.