Nell’anno che precedeva la spedizione garibaldina, Mazzini, rivolgendosi a Vittorio Emanuele II, affermava: “Siate anche dittatore, purché facciasi l’unità d’Italia”. Era la prima volta che il Maestro volgeva uno sguardo  benevolo al  programma monarchico, pur rimanendo fermamente repubblicano. Solo pochi mesi prima, ed esattamente nel febbraio 1859, da Londra, insieme al gruppo a lui vicino, si era appellato agli Italiani, confessando i suoi timori verso un programma monarchico e rimanendo su posizioni di scissura nei confronti di quei democratici che sostenevano l’iniziativa garibaldina. La pace di Villafranca dell’11 luglio1859, fu l’evento decisivo: un Piemonte svincolato dall’alleanza francese riapriva la speranza che si potesse ora operare per un’Italia unita. Il successivo impegno del Partito d’azione nel processo di unificazione italiana ruotò tutto attorno alla necessità di coinvolgere l’iniziativa democratica meridionale: il movimento d’avvio doveva interessare il Sud,  poiché Mazzini era convinto che la Francia, in quella fase storica, con un’Europa stanca della politica condotta in Italia da Napoleone III, si sarebbe ben guardata dall’intervenire nel Meridione. L’attivismo dei più stretti mazziniani isolani, come Francesco Crispi, Rosolino Pilo, Giovanni Corrao, precedette ed accompagnò l’impresa dei Mille, che fu essenzialmente democratica, anche se condotta a nome dell’ITALIA e VITTORIO EMANUELE.
Figura principe del Risorgimento italiano, Giuseppe Mazzini ebbe un percorso di vita e di pensiero straordinario e di grande  interesse. Nato a Genova il 22 giugno del 1805, da Giacomo,  medico  ex giacobino, e da Maria Drago, donna molto religiosa e di alta moralità, sin da bambino mostrò di possedere una brillante intelligenza. Fatti gli studi primari privatamente, frequentò nel 1819 dei corsi nella Facoltà di Filosofia, propedeutici all’ingresso all’università, che avvenne precocemente a soli 15 anni. Ammesso agli studi in Medicina, egli  li abbandonò per dedicarsi alle discipline legali. Nella fase giovanile, fu militante carbonaro, e seguace della filosofia eclettica.
Scrisse nel 1826 Dell’amor patrio di Dante, un saggio che rispecchiava l’interesse per il rapporto letteratura, arte e politica. La partecipazione ai fallimentari moti del 1830 e l’esperienza della detenzione nel carcere di Savona costituirono il punto di partenza  di una prima importante svolta nel suo pensiero politico, che trovò nuova linfa in Francia, dove egli, costretto all’esilio, si recò. Il contatto con la letteratura repubblicana francese, e con Filippo Buonarroti – che in uno scritto  aveva operato un’importate critica alla forma di governo federativa – influirono sicuramente a orientare Mazzini verso l’idea che la forma di governo repubblicana rappresentasse la soluzione per i problemi che affliggevano l’Italia e l’Europa.
La nazione dell’ideale mazziniano era “nazione-popolo”, ma perché il popolo divenisse nazione doveva compiersi un percorso evolutivo. Il progresso della Nazione Italiana era legato all’Indipendenza, all’Unità e alla Libertà da raggiungere con l’azione di un popolo che andava educato a questo. Nasceva nel 1831 a Marsiglia, con un largo spirito europeo,  la Giovine Italia,  accompagnata dall’Istruzione generale per gli affratellati, nella quale erano confluite le nuove riflessioni mazziniane insieme al  progetto di un governo libero, repubblicano ed unitario, progetto che in Italia avrebbe dovuto realizzarsi attraverso l’insurrezione popolare. L’idea mazziniana trovava le sue radici in Carlo Bianco di Saint-Jorioz, autore di un trattato dal titolo Della guerra nazionale d’insurrezione per bande. Mazzini declinò in pieno tale idea nella Giovine Italia fino a definirla società “tendente anzitutto all’insurrezione”, anche se nella sua essenza “educatrice”.  Agli affiliati spettava il compito di far opera di propaganda, per accrescere anche numericamente l’organizzazione, la cui azione doveva trovare coordinamento in una direzione centrale, superando così il settarismo  tipico della carboneria.
Nel pensiero mazziniano era forte la componente religiosa, tanto che l’impianto teorico della sua dottrina veniva assimilato ad una vera «religione politica». Dio e il popolo, la formula con cui si fregiava ogni documento dell’associazione mazziniana, sintetizzava in pieno il messaggio del Maestro: solo attraverso il sacrificio un popolo,  al pari di Cristo, poteva risorgere a nuova vita. Il risorgimento nazionale era redenzione e rinascita, l’apostolato militanza politica, i patrioti martiri della libertà, l’opinioni democratica una fede. L’intreccio tra religione e politica fu fondamentale anche per la definizione del concetto di “nazionalità”, che egli espose chiaramente nel saggio Fede e Avvenire del 1835 e in un articolo, pubblicato ne La Jeune Suisse, nel quale egli specificava il concetto di nazione, distinguendolo da quello di «nationalité», la cui origine era ritenuta divina: “Una nazione è l’associazione di tutti gli uomini che, riuniti sia dalla lingua, sia da certe condizioni geografiche, sia dal ruolo assegnato loro nella storia, riconoscono un medesimo principio, e camminano, sotto il governo di un diritto uniforme, alla conquista di un solo fine preciso[..]La nazionalità è la parte che Dio assegna all’uomo nel travaglio dell’umanità. È la sua missione, il suo compito sulla terra perché il pensiero di Dio possa realizzarsi”.La religione politica mazziniana, con i chiari riferimenti alle teorie sansimoniane e ai testi di Lamennais, Mickiewicz e Buchez, raccolse consensi grazie a un linguaggio ricco di parole simboliche e trovò larga diffusione tra la gioventù italiana.
Falliti i tentativi insurrezionali, organizzati tra il 1833 e il 1834 nella Savoia e a Genova, nasceva nel 1834 la Giovine Europa, la quale trovava origini nell’incontro culturale e ideologico di Mazzini con altri esuli repubblicani. Essa ebbe quattro diramazioni: la Giovine Polonia, la Giovine Germania, la Giovine Italia, la Giovine Svizzera. I tempi, tuttavia, erano difficili e Mazzini viveva una realtà complessa. In molte lettere del periodo, raccolte nell’Epistolario, è possibile avvertire la stanchezza di un uomo costretto a condurre una vita da perenne fuggiasco. Egli deteneva il primato dell’associazionismo patriottico  e rivoluzionario, ed era per questo ritenuto pericoloso e temuto da diversi governi. I suoi spostamenti e le sue azioni erano seguiti costantemente anche dalla diplomazia borbonica, e non meno dalla  polizia piemontese. Il governo svizzero fu più volte incitato ad agire contro gli esuli repubblicani, in particolar modo contro Mazzini, e alla fine del 1836 egli venne espulso. Giunto a Londra, sua  nuova sede d’esilio, visse un periodo di ristrettezze economiche e di profonda crisi, e il ridotto attivismo politico fece sperare la polizia borbonica nella fine della Giovine Italia. Intanto nel 1840 Nicola Fabrizi fondava a Malta la Legione Italica, la quale, da molti intesa come segno di rottura tra questi e Mazzini, fu in realtà un’organizzazione parallela che riuscì a riunire le forze patriottiche in funzione dell’azione, cercando di unificare e coordinare le forze rivoluzionarie clandestine, in special modo quelle presenti nel Mezzogiorno d’Italia. Attraverso azioni congiunte, le organizzazioni cospirative democratiche  avevano pensato per il 1843 ad un moto in Toscana e Romagna, dove Mazzini aveva anche inviato il suo emissario Ribotti. Il tentativo fallì, poiché la polizia austriaca riuscì ad anticipare i piani rivoluzionari. Al Sud nel giugno 1844 si effettuava un altro fallimentare tentativo insurrezionale, con lo sbarco in Calabria dei fratelli Bandiera.