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Lettera di Rosolino Pilo agli amici di Genova

Conservata presso il Museo Centrale del Risorgimento di Roma

 

«Messina, 12 aprile 1860

Miei carissimi amici e fratelli,
eccomi finalmente in terra, li primi pericoli mi è riuscito superarli, 15 giorni di navigazione non mi fecero giungere in tempo all'inizio della rivoluzione di Palermo avvenuta il 3 corrente, se fossi giunto in tempo qui od in Catania sarebbero queste due città pure in mano del popolo, ma tardi vi giunsi e queste due città trovansi in stato d'assedio. Il Comitato qui è d'uomini pusillanimi, mancarono l'ordine, il popolo divino, la gioventù fremente, ma il satanico governo borbonico ha preso tutte le misure per incendiare il paese, ho proposto oggi di radunare una buona parte di gioventù e marciare verso Catania e Palermo; vedrò se sarà dal pusillanime Comitato accettato il progetto, se no oggi stesso parto a cavallo per raggiungere li 30.000 che combattono in Palermo contro le truppe regie, infamissime combattono contro loro fratelli e per sostegno del più brutto e nefando Governo.
Il grido dei nostri sì è Unità e libertà d'Italia; ieri giunse notizia che le truppe borboniche s'aveano avuto grande disfatta, una grande parte fu respinta in mare; questa è venuta ad un Console e mi si diede da un componente del Comitato di questa che mi è riuscito vedere sopra un barco estero sendo tutti li componenti il Comitato sottoposti a rigorosa sorveglianza.
In punto, ore 12 meridiane, viene altro componente Comitato, propriamente quello che stava meco in corrispondenza e che mi scrisse l'ultima lettera che leggeste prima della mia partenza, fu accettato il progetto mio, questa sera con Corrado partiamo per Scaletta, ci metteremo alla testa di un corpo di gioventù, porteremo quante granate ci sono pronte e munizioni e marceremo per attaccare i regi in Catania ed altrove. Più paesi della provincia di Messina già sono in insurrezione. Milazzo è insorta, la piccola guarnigione si è chiusa in Castello e sarà attaccata; Barcellona è insorta, vi ha il marchese Mauro con 400 già in armi, e tutti li paesi del dintorno di Barcellona e Patti hanno inalberato il puro vessillo tricolore; la Sicilia sente più d'ogni altro sito che si deve far questione d'essere italiani; io credo che la vittoria sarà per noi, e che l'ora è vicina della distruzione del dispotismo, però è d'uopo che si pensi ad aiutarci l'uno con l'altro. Spingete col giornalismo cotesto Governo, è venuto il tempo d'essere audaci ma d'essere audaci non come il vigliacco La Farina che se ne sta in Torino a fare il buffone.
Questa lettera ve la scrivo in fretta, quindi non badate alla scorrettezza, fate tesoro di quanto vi scrivo e comunicate tutto al nostro giornale l'Unità d'Italia perché pubblichi quanto gli converrà mettere alla conoscenza di cotesta parte d'Italia. Io sono felice di potere dar tutto il mio sangue all'Italia nostra, voglia il cielo essergli propizio una volta.
Vi prego di spedire l'acchiusa, se non riceverete mie lettere dopo questa ritenete all'impossibilità di mezzi di corrispondenza; però voi spedite al solito le vostre lettere e mandatele in Messina a Mariano Granati; il pacco delle lettere e giornali per me speditele al mio nome e cognome nel pacco di Granati.
Addio, miei amatissimi fratelli, vogliatemi bene, abbracciatemi Peppinello e quanti mi ricordano, e credetemi vostro riconoscente fratello

Rosalino Pilo»