Francesco e Maria Sofia in una rara foto dell’epoca 
Francesco e Maria Sofia in una rara foto dell’epoca

Ben presto la bella bavarese dimostrò il suo coraggio alla corte di Napoli. La notte del 7 luglio 1859, fu la sola a fronteggiare, con successo, la rivolta di parte delle truppe svizzere, ritenute fedelissime al re, mentre questi si era chiuso in preghiera e la regina madre, Maria Teresa, nel panico generale, si accingeva in tutta fretta a fuggire dalla reggia di Caserta con i figli più piccoli. Determinazione, Maria Sofia, ebbe anche nel fronteggiare la dispotica e sciatta suocera imponendole il suo stravagante ed elegante stile di vita.
Con lei regina, la corte di Napoli rivisse gli antichi fasti, la città si animò di feste e spettacoli, le attività culturali ne ebbero giovamento. L’immagine di Maria Sofia conquistava i rotocalchi e l’ammirazione internazionale.
Il suo regno però aveva i giorni contati. Quando la notizia di quanto accaduto a Calatafimi giunse a Napoli fu ancora una volta lei a suggerire al marito di richiamare Filangieri, il principe di Satriano, l’uomo dei momenti difficili, che però rifiutò l’incarico. Non fu estranea alle lucide indicazioni che Francesco II inviava, inascoltato, all’inetto Luogotenente principe di Castelcicala per far fronte alla insurrezione siciliana. Il suo intervento fu decisivo in relazione alla Costituzione che tardivamente l’ultimo dei Borboni di Napoli infine concesse. Del consorte, che a lungo l’aveva delusa persino nei doveri coniugali, fu compagna fedele sostenendolo con coraggio, dignità e buonumore nella tragedia.
Gaeta ne segnò il definitivo ingresso nel mito. Nell’ultima roccaforte dei Borboni, Maria Sofia, come confesserà più tardi, avrebbe trascorso i giorni più felici della sua vita. Francesco, finalmente uscito dall’eterno fatalismo, sembrava un altro uomo, trasformato dal contatto giornaliero con una truppa devota ed affettuosa. In quanto a Maria Sofia, finalmente poteva seguire liberamente gli impulsi del sangue dei Wittelsbach che le scorreva nelle vene. Indossando un’uniforme da lei personalmente creata, combinando l’abito di amazzone con il costume calabrese, raggiungeva a cavallo persino gli avamposti incoraggiando incessantemente i soldati, si prendeva cura dei feriti, partecipava ai combattimenti. La truppa l’adorava. L’immagine della regina-soldato diffusa dai giornali dell’epoca divenne ben presto il glorioso ed affascinante simbolo della resistenza borbonica. Dopo Gaeta si tentò d’infangare quell’eroica figura in più modi, attribuendole  svariati amanti e facendo persino circolare fotomontaggi che ritraevano l’ex regina  nuda ed in pose oscene. Un amante, forse l’unico, Maria Sofia lo ebbe davvero, l’aitante conte belga Armand de Lawayss,  conosciuto appena giunta a Roma con il marito dopo la caduta di Gaeta. Di lui rimase incinta, dando alla luce due gemelle, Viola e Daisy, il 24 novembre 1862, in un convento di Augsburg. Riconciliata con Francesco, tornò a Roma e nel 1869 ebbe da lui una figlia che sarebbe morta dopo tre mesi. Con la caduta dello Stato Pontificio, i due coniugi si separano definitivamente: Maria Sofia si stabilì prima a Parigi, poi a Monaco.
Ella non perse mai la speranza di riconquistare il regno perduto, arrivando persino ad avere contatti con il mondo anarchico, cosa che le valse l’appellativo di Reine aux anarchistes. In tal veste il suo mito aleggiava ancora nella Milano in stato d’assedio del 1898, dove i servizi segreti inquietavano il generale Bava Beccaris con la notizia che voleva l’ex regina del Regno di Napoli  nascosta a Como pronta a raggiungere il capoluogo lombardo a bordo di un’auto-mobile armata di mitraglia per porsi alla testa dei rivoltosi. L’anno prima Gabriele D’Annunzio l’aveva immortalata in Le vergini delle rocce e La Canzone di Garibaldi ribattezzandola “ l’aquiletta bavara” .

M.B.

 Principale bibliografia di riferimento:

- Acton H., Gli ultimi Borboni di Napoli, Milano 1973;
- De Cesare R., La fine di un regno, Napoli 1969;
- Petacco A., La regina del Sud. Amori e guerre segrete di Maria Sofia di Borbone, Milano 1992.