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Le colpe del Generale Lanza

Da Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, di G. de' Sivo, vol. II, Trieste 1868, pp. 76-77.
«Il Lanza con lettera al re osava a' 13 giugno giustificarsi. Comincia numerando suoi servigi all'età di tredici anni; e su quelli, massime in cose d'amministrazione, saria molto da dire, ma non era di essi quistione. Segue aver accettato l'uffizio per ubbidienza, dopo seguito lo sbarco e Calatafimi; ma dunque mille uomini bastavano a pigliar la Sicilia? E perché su Calatafimi non inquisì, perché non sottopose a consiglio il Landi fuggito, perché lasciollo anzi a comandare i soldati? Dice generali e colonnelli ordinando ordinando in nome regio lui facevano piuttosto ubbidire che comandare: alludeva ai Letizia e Buonopane; ma egli con l'alter-ego, e con le lettere autografe del re che gli davan libertà d'azione, non provvedeva? Accusa Won de Mechel d'essersi fatto sfuggir di mano Garibaldi; e dunque altri diciottomila uomini con lui non valean niente? Perché li avea serrati in palazzo? Non era più lieve agganciare il Garibaldi entro le mura che nell'ampia Sicilia? Dice la città tutta sollevata; e non era tutta, né potendo volle la non sollevata occupare. Dice riuscito vano il bombardare di due giorni; vano dovea essere, s'egli non assaliva simultaneamente; farlo a quel modo era infamarsi senza prò; ché se davvero avesse bombardato finiva la guerra. Afferma il Mechel giunto dopo la tregua, e mentiva, ch'ei l'avea visto venire dal mattino, e giunse sull'ore dieci; e la tregua fu abborracciata in fretta dopo il mezzodì. Afferma averla fatta per provvedere a' feriti; meglio vi avrebbe provveduto vincendo. Seguita aver disposto il combattimento pel domani, e incolpa i Letizia e Buonopane d'aver protratta la tregua; e mentisce avendola egli firmata, egli avendo ceduto il Banco con cinque milioni. Confessa che senza la tregua certo Palermo sarebbe caduta; è però colpevolissimo di non averla assalita. Dicesi avvelenato di dispiacere , desiderare la morte; ma non la cercò con l'arme in mano, combattendo pel re e pel suo paese, che per sessant'anni lo avevano pagato e coperto d'onori e ricami. Accusa quei Letizia e Buonopane occupati a dormire e mangiare sulle fregate, venuti da ultimo a rapirgli l'onore d'aver fatto tutto; onore d'aver capitolato, da farsene merito col Garibaldi, non col re delle Sicilie. Conchiude che morrà di dolore, e che mai non seppe tradire o ingannare; ma ha visto cadere ottocent'anni di monarchia, morire duegentomila e più persone, ruinare la patria, e fatta serva, ed ei benché vecchissimo anzi ha ripreso moglie, ed è vissuto altri cinque anni. Che non tradisse dicalo a Dio che vede l'interno, l'uomo giudica i fatti.
Ei con l'alter-ego non isfugge alla colpabilità di tanti mali, né vi isfugge il Polizzysuo capo di stato maggiore, né altri. Le lettere regie, studiate col Filangeri, mandavano consigli non ordini, cose opportune, non eseguite. Tutte dicevano:da lontano non si comanda ; onde lasiavano ampie facoltà a' duci, delle quali con astuta perfidia si valsero, per perdere.
Egli i generali e lo stato maggiore entrarono nel golfo di Napoli a' 20 giugno, e per cenno sovrano sbarcarono ad Ischia. S'ordinò una giunta de' generali Delcarretto, Casella, Vial e Lecco, per esaminare la condotta loro, e sottoporre i rei a consiglio di guerra; ma le sopravvenute calamità, e'l crescentesi tradimento di tanti, posero cenere. Innocenti e rei, ingiudicati, messi a una stregua, i buoni offuscati, i tristi imbaldanziti, quella inescusabile impunità compié le ruine. Forse un Lanza impiccato salvava il paese; salvo, ebbe imitatori, e molti».